Camillo di Christian RoccaOSSERVATORIO ROMANO

Il Corriere della Sera ieri ha riservato l’editoriale al referendum iracheno invece che al plebiscito prodiano, e di questo gli va dato atto. L’autore era Sergio Romano, il raffinato ex ambasciatore che negli ultimi anni ha dedicato gran parte dei suoi interventi a dimostrare che l’11 settembre non è stato l’evento epocale che conosciamo né la presa di coscienza di un conflitto che in epoca recente è iniziato con la rivoluzione iraniana e con la fine della Guerra fredda. Per Romano l’11 settembre è stato un inammissibile atto barbarico, ma non uno spartiacque per cui valesse la pena rischiare di stravolgere consuetudini, costumi e status quo mondiale. La conseguenza di questo minimalismo è che la risposta al terrorismo islamista è stata sbagliata, irresponsabile e pericolosa. Una tesi legittima, ma che nel corso degli anni il suo autore è stato costretto a modificare innanzi alle confutazioni ricevute sul campo. Il caso più clamoroso è quello dell’assassinio di Enzo Baldoni, il reporter pacifista ucciso in Iraq dalla guerriglia. Romano si stupì che gli islamisti avessero ucciso un pacifista, visto che fino a quel momento era prevalsa la “comprensibile”, così scrisse, logica antiamericana dei terroristi. L’ambasciatore, insomma, non aveva colto l’essenza dello scontro, che non è legato alle politiche “arroganti”, “saccenti”, “inconsistenti”, “prigionere della lobby religiosa” e “dilapidatrici del patrimonio morale e civile dell’America” elaborate da Bush: viceversa non si spiegherebbe la carneficina di iracheni, musulmani, europei e buddisti.
L’ambasciatore, nota il nostro piccolo Osservatorio Romano, ha virato i suoi ragionamenti su un attacco preventivo americano alla Cina (su Vanity Fair), sul bluff di Sharon in Palestina (su Panorama), fino a criticare Bush per essere “piccolo, tozzo” e “di modesta statura”, quando Bush supera il metro e ottanta. Soprattutto ha puntato sul pericolo di guerra civile in Iraq, dimenticando che la guerra civile in Iraq c’era ai tempi di Saddam, quando la minoranza sunnita gasava i curdi e massacrava gli sciiti. Ora, invece, quegli stessi gruppi si riuniscono in partiti politici, scrivono insieme la Costituzione, discutono in Parlamento, si confrontano e si dividono dentro una cornice istituzionale politica e democratica. E’ tutto rose e fiori? Ovvio che no. Ma non è vero che prima della guerra gli americani “non avevano alcun progetto costituzionale per l’organizzazione dello Stato”. E’ vero il contrario: l’ipotesi federalista è stata presentata a Washington nell’agosto 2002 dai partiti iracheni in esilio, gli stessi che a Romano risulta abbiano “perduto i contatti con la realtà” ma che al contrario hanno ricevuto i voti degli iracheni.
Romano sostiene che Saddam non era un pericolo e che guidava uno Stato laico, cancellando così la conversione islamista del regime alla fine degli anni 80, i finanziamenti ai kamikaze, i rapporti con al Qaida provati dalla Commissione sull’11 settembre, l’ospitalità ad Abu Abbas, Abu Nidal e Al Zarqawi, il collegamento con Ansar al Islam, le violazioni delle risoluzioni Onu e la condivisione del medesimo progetto politico di bin Laden: conquistare il mondo arabo, distruggere Israele, sconfiggere gli americani.

X