Camillo di Christian RoccaI quattro miti ammazza liberal smontati da Bill Galston, il prof che fece vicnere Clinton

Washington. Il nome di Bill Galston è poco familiare non soltanto in Italia, ma anche in America. Eppure è l’autore di un breve saggio di strategia politica che, sedici anni fa, portò Bill Clinton e la sinistra americana alla storica vittoria elettorale dopo dodici anni di dominio incontrastato dei Repubblicani. Insieme con Elaine Kamarck, Galston scrisse “The Politics of Evasion” per spiegare come la sinistra liberal stesse correndo sul binario sbagliato, destinato all’ennesima sconfitta. Il punto di partenza era questo: se i Democratici non prendono posizioni più moderate, continueranno a perdere.
Bill Clinton colse al volo l’intuizione di Galston e vinse due volte di fila, portandosi il professore alla Casa Bianca come stratega di politica interna. Sedici anni dopo quello studio, sempre in coppia con Kamarck, Galston ha scritto un secondo saggio – dal titolo “The Politics of Polarization” – che è subito diventato il “talk of the town”, ovvero l’argomento del giorno, in una città come Washington drogata di politica, di analisi e di scenari.
In uno studiolo della Brookings Institution – cioè del pensatoio di centrosinistra dove, a gennaio, il professore prenderà posto – Galston ha detto al Foglio che oggi, come sedici anni fa, la situazione non è affatto cambiata: i Democratici necessitano più che mai di posizioni moderate. Il motivo più che politico è aritmetico: “In America ci sono più conservatori che liberal sicché la sinistra deve conquistare più elettori di centro di quanti ne debba convincere la destra. C’è un altro aspetto – nota Galston – la politica è sempre più polarizzata e c’è una netta divisione tra destra e sinistra, che non tiene conto del fatto che gli elettori non vogliono essere costretti a scegliere tra il boom economico e una totale copertura sociale o tra le libertà individuali e la sicurezza nazionale o, ancora, tra la forza militare e la cooperazione internazionale. Vorrebbero una via di mezzo e s’infastidiscono di fronte a una politica che li costringe a questo tipo di scelte”.

Le donne e le parole
Il saggio del professor Galston smonta tutti i luoghi comuni, anzi, “i miti” che influenzano negativamente la sinistra americana e in qualche maniera anche quella europea: “Innanzitutto il mito della mobilitazione, quello secondo cui se la sinistra liberal convince la propria base a recarsi alle urne il più è fatto”. La campagna elettorale, nel 2004, di John F. Kerry era strategicamente concentrata su questo punto: aumentare il numero degli elettori. E’ finita male, nonostante Kerry abbia preso il 16 per cento di voti in più rispetto a quelli ottenuti da Al Gore quattro anni prima. Soltanto che i repubblicani hanno fatto meglio, proprio perché contano su una base elettorale più ampia: l’anno scorso George W. Bush ha preso il 23 per cento di voti in più di quanti ne ottenne nel 2000.
Il secondo mito di Galston è quello della demografia, consolidatosi grazie a un libro di un’altra coppia di studiosi liberal, Rudy Texeira e John Judi, secondo i quali ci sarebbe una “emerging democratic majority”, ovvero un’emergente maggioranza democratica, grazie all’aumento del numero degli ispanici, delle donne lavoratrici e di altre categorie di persone che tradizionalmente votano a sinistra. Eppure, ricorda Galston, rispetto al 1996 – quando Bill Clinton vinse il secondo mandato – nel 2004 Kerry ha perso punti sia tra gli ispanici sia tra le donne.
Il terzo mito è quello del linguaggio: “C’è chi dice – spiega Galston – che il vero problema della sinistra non è il modo in cui parla”. E’ la tesi del professore di Berkeley, George Lakoff, che da anni spiega ai democratici di usare linguaggi, slogan e metafore diversi, tali da far nascere associazioni favorevoli e quindi persuadere nuovi elettori. Secondo Galston, invece, ciò che conta è la sostanza: “I Democratici hanno parecchi problemi non soltanto perché i candidati espongono male le loro tesi, ma soprattutto perché non hanno un approccio coerente sui temi della politica estera, perché sui temi sociali espongono tesi che la grande maggioranza dell’elettorato rifiuta e perché non hanno proposte economiche degne delle sfide globali del XXI secolo”.
Il quarto mito è quello che Galston chiama della “prescription drugs”, vale a dire: cambiare discorso e sviare le questioni cruciali come le battaglie culturali o la sicurezza nazionale. “Questi quattro miti – dice Galston – impediscono ai Democratici di porsi domande impegnative e di prendere decisioni forti. La sinistra non potrà tornare a vincere se si nasconde dietro questioni minori per evitare di affrontare il problema della sicurezza nazionale e dell’uso appropriato della forza. Sono temi da sempre nella tradizione dei democratici americani: da Woodrow Wilson a Franklin Delano Roosevelt, da Henry Truman a John Kennedy”. Galston sostiene che i Democratici debbano tornare ad articolare una coerente politica estera fondata sull’idea che gli Stati Uniti abbiano un ruolo nel mondo: “L’internazionalismo liberale deve convincere l’altra metà del partito democratico che l’America può fare del bene nel mondo, come, per esempio, fermare il genocidio in Darfur. I Democratici devono enfatizzare l’importanza dell’esercito americano come una potenziale forza del bene nel mondo, e per farlo dovranno fare i conti con chi è ancora scottato dalla vicenda del Vietnam”.

Le regole per un partito laico, non laicista
E’ stato il Vietnam a trasformare i Democratici in un partito poco credibile e poco affidabile quando in gioco, come adesso, ci sono questioni serie. “Non a caso – aggiunge Glaston –  gli ultimi presidenti democratici, Jimmy Carter e Bill Clinton, ma anche la maggioranza popolare che ottenne Al Gore, sono arrivati  in momenti in cui la politica estera e la sicurezza nazionale non contavano nulla nel dibattito politico”. La stessa cosa vale sulla famigerata questione dei cosiddetti – neanche si trattasse di una parolaccia – valori: “Anche questo ‘problema morale’ dei democratici è un fenomeno relativamente nuovo. Fino al 1986, quando agli americani era chiesto quale fosse il partito dei valori tradizionali e della famiglia, in maggioranza pensavano ai democratici”.
Per tornare alla Casa Bianca, secondo Galston, i Democratici dovrebbero essere in grado di unificare le due anime del partito, oggi profondamente divise, e appellarsi al centro dello schieramento politico: “Possono pure continuare a sostenere il diritto delle donne a scegliere se abortire o no, ma si devono liberare dall’intransigenza su questioni come la notifica ai genitori dell’interruzione di gravidanza di ragazze minorenni o sul divieto di aborto tardivo. Sui matrimoni gay, pur continuando a battersi per un trattamento decente per le coppie omosessuali, si devono opporre alle nozze imposte da pochi giudici militanti e lasciare che siano gli Stati, i Parlamenti e quindi i cittadini a scegliere. In questo modo il Partito democratico resterà la casa dei laici, senza diventare un partito laicista”.

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