Roma. Il Foglio segue sempre con grande attenzione e rispetto le favolose inchieste di Repubblica sul cosiddetto Nigergate, ovvero sull’ipotesi che il servizio segreto militare italiano (Sismi) abbia fabbricato un dossier falso sull’acquisto iracheno di uranio del Niger per fornire alla lobby dei neoconservatori americani la prova fumante per invadere l’Iraq. Fin dall’inizio, e con spirito gregario, il Foglio ha provato a smontare l’ipotesi complottistica del giornale di Largo Fochetti, basandosi esclusivamente sui fatti certi, sulle relazioni bipartisan del Senato americano mai contestate, sui risultati di una commissione indipendente inglese e, in un caso, chiamando direttamente la Casa Bianca. L’audizione del direttore del Sismi Nicolò Pollari al Comitato parlamentare di controllo sui Servizi, giovedì 3, sembrava aver chiuso il caso, anche grazie all’unanime smentita delle tesi di Repubblica da parte sia della maggioranza sia dell’opposizione (compreso Romano Prodi giovedì sul Foglio). Giudizi che seguivano la lettera ufficiale del direttore dell’Fbi che esonera l’Italia dal complotto e l’archiviazione della procura di Roma.
Repubblica, invece, ieri ha rilanciato l’accusa al Sismi, fornendo altri particolari succosi alla spy-story che vanta così tante smentite che ormai è diventato difficile tenerne conto. Il piccolo Sismi, ha scritto ieri Repubblica, riuscì a ingannare la grande Cia, “ripulendo” le informazioni del falso dossier. In sostanza il nuovo capo d’imputazione è il seguente: il Sismi di Pollari sapeva perfettamente che il dossier era falso, tanto che per renderlo più credibile agli occhi della Cia si adoperò per cancellare i difetti più evidenti. In particolare il Sismi si accorse che il ministro degli Esteri nigerino, Allele Habibou, non poteva aver firmato “il protocollo di accordo” di vendita d’uranio, come risultava dal falso documento dell’ottobre 2000, per il semplice fatto che all’epoca non era più ministro. Così, sempre secondo la ricostruzione di Repubblica, gli uomini di Pollari sostituirono l’improbabile firma falsa con quella autografa del vero ministro nigerino dell’epoca, Nassirou Sabo, estrapolandola da un’altra lettera del 30 luglio 1999 (ma Rep. sbaglia e scrive “30 giugno”).
Fonti molto autorevoli dell’intelligence interpellate dal Foglio hanno smentito categoricamente questa ricostruzione, spiegando che quella lettera del 30 luglio 1999 (quella con la firma giusta) non è mai stata in possesso dei servizi italiani. Ipotesi che risulterebbe confermata dagli incartamenti dell’inchiesta della procura di Roma affidata al pm Franco Ionta e poi archiviata. Se la lettera non era a disposizione del Sismi, come afferma l’autorevole fonte di intelligence, certo non può essere stata utilizzata per falsificare un altro documento.
Quella lettera del 30 luglio 1999 invece faceva certamente parte del dossier che nel 2002 una giornalista di Panorama ricevette da Rocco Martino, l’ex agente Sisde allora al servizio dei servizi francesi. Un dossier composto da vari documenti, alcuni falsi altri veri, che Panorama non pubblicò e poi consegnò all’ambasciata americana il 9 ottobre 2002, un anno dopo i tre report del Sismi alla Cia.
Il secondo fatto che non torna nella nuova puntata della spy-story è questo: il Sismi non ha accreditato come certo o verificato lo scambio di uranio.
Diversi partecipanti all’audizione parlamentare del Comitato di controllo di giovedì scorso hanno confermato al Foglio di aver visionato e letto i report segreti inviati dalla nostra intelligence alla Cia. E tutti gli interpellati hanno spiegato che ciascuno dei tre brevi rapporti era molto cauto e invitava la controparte americana a non usarne pubblicamente il contenuto. Il primo dei rapporti è del 21 settembre 2001, il secondo del 18 ottobre, il terzo del febbraio 2002. In particolare il terzo report che secondo Repubblica di ieri annunciava che “500 tonnellate di uranio già sono state spedite in Iraq”, in realtà al Foglio risulta essere composto da tre o quattro righe con cui il Sismi “condivide le perplessità” avanzate dagli americani sul contenuto dei rapporti precedenti.
Terzo fatto. L’inchiesta di Repubblica che dalla prima puntata a ieri ha cambiato più volte gli elementi centrali, le date e le prove regine della macchinazione, è anche poco accurata. In uno degli specchietti con cui il giornale ha riassunto l’intricata vicenda, si legge che “Nicolò Pollari è a capo del Sismi da poco tempo quando nasce il falso dossier”. Come è noto, si tratta di un falso. Il dossier truffa è del 2000, degli anni in cui a Palazzo Chigi c’era Giuliano Amato non Silvio Berlusconi, e alla Casa Bianca Bill Clinton non George Bush. Quando nasce il dossier, l’undici settembre è di là da venire mentre Pollari diventa direttore del Sismi soltanto il 15 ottobre 2001. Il dossier nasce in un’altra epoca, quindi. Le ragioni della sua fabbricazione non c’entrano neanche lontanamente con la guerra in Iraq. L’unica cosa certa, ammessa anche da Repubblica, è che nel 2000 il dossier-bufala è in mano dei francesi. Secondo Rep., i francesi si accorgono del falso e lo “gettano nel cestino”, ma è falso che lo gettino nel cestino. E’ vero il contrario. Il rapporto bipartisan del Senato americano dice chiaramente che per ben tre volte la diplomazia e l’intelligence francese confermano a Washington di avere informazioni certe di un accordo tra il Niger e l’Iraq per la compravendita di uranio. Alle pagine 59 e 67 del rapporto del Senato, facilmente scaricabile su Internet, risulta che “il 22 novembre 2002, durante un meeting con funzionari del Dipartimento di Stato, il direttore della nonproliferazione del ministero degli Esteri francese disse che la Francia aveva informazioni su un tentativo di acquisto di uranio dal Niger”. E anche “che la Francia pensava che l’uranio non fosse stato consegnato, ma credeva che l’informazione sul tentativo iracheno di procurarsi l’uranio dal Niger fosse vera”.
Il 3 febbraio 2003, si legge sempre nel rapporto bipartisan del Senato, gli americani chiedono a un “servizio straniero” (cioè ai francesi) “conferma che l’informazione non provenga da un altro servizio straniero” (cioè da quello italiano). I francesi rispondono di no, l’informazione è “di origine nazionale”, cioè dei servizi di Parigi. Sono dunque i francesi, i quali da tre anni dispongono del falso dossier creato da un loro agente, a confermare la veridicità del suo contenuto. Solo tre mesi e mezzo dopo, il 4 marzo 2003, si legge ancora nel rapporto bipartisan del Senato, Washington viene a sapere che “i francesi hanno basato la loro iniziale valutazione sul tentativo di acquistare uranio dal Niger dagli stessi documenti” arrivati agli Stati Uniti sei mesi prima tramite Panorama. Le date sono importanti: il 9 ottobre 2002 gli americani ricevono via fax, dall’Ambasciata a Roma, i documenti falsi relativi all’accordo Niger-Iraq, consegnati da una giornalista di Panorama. Un mese dopo, il 22 novembre, i francesi sostengono di avere prove certe di un accordo Niger-Iraq. Così come il 3 febbraio dell’anno successivo.
Ma la cosa più importante di questa vicenda è un’altra: il dossier falso non è mai stato usato da George Bush per giustificare la guerra in Iraq. Le famose 16 parole pronunciate nel discorso sullo Stato dell’Unione facevano esplicito riferimento ai servizi inglesi, non parlavano di accordo già concluso tra il Niger e l’Iraq (come risultava dai documenti falsi). E, soprattutto, non citavano il Niger ma “paesi africani”.
La commissione Butler che ha revisionato tutta l’intelligence britannica sull’Iraq ha stabilito che le parole di Bush erano “ben fondate”, proprio perché non si riferivano al dossier-truffa italo-francese. Si legge a pagina 125 del rapporto che “al momento in cui sono state fatte le valutazioni, quei documenti falsi non erano a disposizione del governo inglese, sicché il fatto che fossero falsi non le indebolisce”. Le “valutazioni” del governo inglese di cui scrive Lord Butler sono la fonte unica delle 16 parole pronunciate da Bush. E gli inglesi dicono che le loro informazioni non nascono dal dossier falso, anche perché “i documenti falsi non sono entrati a disposizione del governo britannico” prima “dell’inizio del 2003” (pagine 123 e 125 della rapporto Butler). La stessa cosa dice l’Intelligence Committee del Senato (pagine 57 e 64): le informazioni sul Niger in mano all’intelligence americana erano “più ampie rispetto al contratto” (cioè al falso documento italo-francese, ndr) e comprendevano anche “i tentativi iracheni di acquisire uranio dalla Somalia e dalla Repubblica democratica del Congo”. E’ questo il motivo per cui, nel rapporto del 24 gennaio 2003 preparato dalla Dia e dalla Cia, “non c’è alcun riferimento ai documenti scritti in lingua straniera riguardanti l’accordo sull’uranio”. Semplicemente, la bufala italo-francese non è stata usata. Se non da Repubblica e magari da qualche servizio straniero.
12 Novembre 2005