Milano. La sindrome di Angelo d’Orsi ha colpito ancora l’austero mondo degli studiosi torinesi e dei collaboratori della Stampa. La nuova vittima è Luca Ricolfi, il celebrato autore di “Perché siamo antipatici?” e del recentissimo “Tempo scaduto”. Angelo d’Orsi invece è lo storico che nel 2000 ha rotto il tabù dell’antifascismo azionista torinese, rivelando come alcune immacolate icone di quella stagione civile ebbero una funzione servile nei confronti del regime mussoliniano. Niente di sconvolgente né di clamoroso, ma di particolare interesse perché frutto degli studi di un allievo di Norberto Bobbio per la casa editrice Einaudi. La sindrome d’Orsi si manifesta ogni qual volta l’asfittico e partigiano mondo culturale nostrano si illumina d’immenso e fa emergere un intellettuale che sostiene tesi non proprio ortodosse né in linea con il pensiero dominante e politicamente corretto. La sindrome entra nella sua fase patologica nel momento in cui qualcuno della parte avversa si congratula per la serietà, il coraggio e la passione dell’autore. A quel punto, l’intellettuale si agita, prende paura, teme che non lo invitino più ai party e avvia la stagione delle precisazioni, delle rettifiche, dell’accusa di essere stato strumentalizzato, non perché i giornali dell’odiata destra abbiano stravolto il suo pensiero, al contrario perché lo hanno rilanciato ma chissà per quali loschi motivi.
E’ successo con d’Orsi, il quale ha passato i mesi successivi all’uscita del suo libro a ribadire che sì, era vero, aveva scritto di suo pugno ciò che gli veniva attribuito dai giornali di destra, però, mannaggia a loro, lo avevano strumentalizzato probabilmente per riabilitare il fascismo. Ora è il professor Ricolfi in piena sindrome d’Orsi. I fatti sono questi: l’anno scorso il professore ha scritto un breve saggio, poi ampliato e ripubblicato in questi giorni dal Mulino, per dimostrare che non è vero che Silvio Berlusconi ha realizzato in pieno il suo Contratto con gli italiani firmato nel 2001 chez Vespa, ma anche per spiegare che è altrettanto falsa l’idea che il governo non abbia fatto nulla.
Qualcuno ha elogiato la correttezza del professore e la sostanziale promozione del programma di governo del Cav. (“alla fine della fiera le promesse di Berlusconi potrebbero risultare mantenute in una misura molto vicina al 60 per cento: la nostra migliore stima finale è il 61,1 per cento”). Ricolfi però ci è rimasto male e ha fatto tre cose: prima ha scritto una lettera al Giornale, poi ha concesso una lunga intervista al Riformista per “smentire il titolo del Giornale”, eppure confermando che “senza ombra di dubbi Berlusconi non ha fatto pochissimo”, cioè rilanciando esattamente la tesi per cui il suo libro ha fatto notizia, invece di essere dimenticata come una qualsiasi battuta di Max D’Alema.
Ieri, di nuovo. Ricolfi ha scritto l’editoriale della Stampa per ri-raccontare che il Giornale e il Foglio hanno strumentalizzato i suoi studi, ri-ricordando che pur non avendo rispettato in pieno il Contratto, “Berlusconi ha fatto molto di più di quanto gli italiani siano disposti a riconoscergli”. Appunto.
A rischio di ricevere una cortese lettera da Ricolfi, questo giornale consiglia vivamente la lettura del libro che smentisce le tesi propagandistiche della sinistra così come quelle del Cav., ma che fa notizia proprio perché a sorpresa decreta che è il Cav. a far meno propaganda. Il libro di Ricolfi sostiene che Berlusconi ha fallito completamente l’obiettivo di ridurre i crimini, ma anche che ha soddisfatto in pieno la promessa di aumentare le pensioni, al punto che l’azione di governo è definita “una politica di sinistra, per non dire di classe, priva di demagogia e immune alle tentazioni interclassiste. Quindi la risposta alla nostra domanda iniziale, almeno in questo caso, diventa del tutto ovvia: sì, Berlusconi ha mantenuto la promessa fatta ai pensionati, e l’ha mantenuta al 100 per cento”. La promessa sulla riduzione delle tasse si componeva di quattro elementi, due rispettati, due no, secondo Ricolfi. Con questo risultato finale: “Dai calcoli la promessa fiscale risulta mantenuta per più del 50 per cento”. Quanto alla terza promessa, aumento dei posti di lavoro, il Contratto è stato rispettato all’81,7 per cento, un risultato che Ricolfi definisce “ragguardevole”. E alla sinistra che accusa il Cav. di aver precarizzato il lavoro, Ricolfi fa notare che “non è vero che in questi anni la flessibilità si è trasformata in precarietà. Semmai è vero il contrario: la precarietà selvaggia degli anni 90 ha cessato di crescere e anzi ha dato segno di voler regredire”. Al che Ricolfi commenta: “E’ difficile cacciare dalla mente un pensiero malizioso: e se dovessimo dire grazie (anche) alle più vituperate leggi del centrodestra?”. L’ultima promessa del Contratto con gli italiani è quella dell’apertura dei cantieri pubblici: mantenuta al “68,4 per cento”.
Mica male come risultato, tenuto conto che Ricolfi accusa i critici del Cav, “Scalfari in testa”, di aver fatto credere che le promesse berlusconiane fossero demagogiche e impossibili da realizzare. Non è così, spiega il professore. Tanto più, continua, che se non ci fosse stato il “buco di bilancio” di “30 miliardi di euro”, “2,4 punti del Pil”, lasciato in eredità dal governo di centrosinistra, il Cav. sarebbe “sostanzialmente in orario” sul piano delle grandi opere. “Ma c’è un secondo imprevisto genuino, che ha ostacolato gravemente l’azione di governo: la stagnazione dell’economia”. Secondo Ricolfi, al momento della firma del Contratto, “nessun economista era in grado di prevedere che l’intera zona euro sarebbe entrata in un lungo periodo di quasi stagnazione”. All’appello “mancano almeno 3 punti di Pil”, con i quali “anche la promessa occupazionale e fiscale risulterebbero onorate più o meno al 100 per cento”. La sinistra racconta che il Cav. ha violato il contratto con gli italiani. Ricolfi svela che è l’Unione a non voler onorare il contatto con la realtà.
16 Febbraio 2006