L’ospite newyorchese del Cav. è Michael Stern, un gran personaggio della città e non solo, con solidi legami con l’Italia che risalgono allo sbarco ad Anzio nel 1944. Ad agosto Stern compie novantasei anni, vissuti in un’atmosfera da romanzo a metà tra il Gregory Peck di Vacanze Romane e il Cary Grant di Intrigo Internazionale. Stern è, oltre a mille altre cose, il deus ex machina dell’Intrepid Foundation che mercoledì sera consegnerà a Berlusconi il Freedom Award, un premio che negli anni scorsi è andato a Reagan, Thatcher, Bush padre, Powell, Cheney, Rumsfeld, Eltsin, Rabin, McCain, Albright, Giuliani, Bill e Hillary Clinton, gente così. L’Intrepid è una delle portaerei americane che ha combattuto le battaglie navali del Pacifico nella Seconda Guerra Mondiale. Oggi, grazie al compianto magnate Zachary Fisher e all’infaticabile Stern, è un museo galleggiante ancorato sul molo 86 della 46esima strada (angolo 12esima avenue) di New York. La Fondazione Intrepid, oltre a gestire il museo e a conferire il Freedom Award, aiuta le famiglie dei militari americani e inglesi deceduti in guerra. Stern ha esteso gli aiuti ai caduti italiani e, dopo la strage di Nassiriyah, ha chiamato Giulio Tremonti per offrirgli un assegno da 170 mila dollari, diecimila a testa, da girare alle diciassette famiglie dei nostri soldati uccisi.
Lo storico evento di domani, quando Berlusconi terrà un discorso solenne al Congresso di Washington riunito in seduta comune, è opera sua, come racconta al Foglio lo stesso Stern dal suo buen ritiro in Florida, in attesa di un aereo che lo porti a Washington e poi, insieme con Berlusconi, “da Washington a Newark e, infine, con l’elicottero da Newark fino alla portaerei ancorata a Manhattan”. L’invito al Cavaliere risale a sei mesi fa, dice Stern precisando che non ha alcuna intenzione di interferire con le elezioni italiane: “E’ stato il Congresso a non trovare una data disponibile precendente”.
Stern è un uomo pragmatico, dei politici italiani del Pentapartito diceva: “Non mi interessa che cosa pensano, mi interessa da chi prendono i soldi. E li prendono da Gheddafi…”. E’ liberal di idee politiche, anche se dichiara di non avere alcuna appartenenza partitica: “Quando ci sono state le elezioni tra il democratico Mario Cuomo e il repubblicano George Pataki – ha detto Stern al Foglio – il New York Times ha pubblicato due box in prima pagina con i nomi dei dieci principali finanziatori dei due canditati. Io ero al secondo posto tra i sostenitori di Cuomo… e al terzo tra quelli di Pataki…”.
Gianfranco Fini lo definisce “il mio fratello americano”, anche perché gli deve l’apertura delle porte nella capitale dell’Impero, non una cosa scontata per un ex missino. Un altro amico è Adolfo Urso, poi Giuliano Urbani e Antonio Martino. Ogni loro viaggio in America è organizzato da Stern, il quale conta tra i suoi più cari amici uno dei più potenti parlamentari di Washington, Bill Young, fino a pochi mesi fa presidente della Appropriations Committee, cioè della Commissione che valuta ogni dollaro che l’Amministrazione intende spendere.
Stern era in Italia, alla guida della delegazione del Congresso Usa, nel giorno in cui Berlusconi è diventato premier e, in seguito, ha convinto lo scettico entourage del presidente Bush a considerare “Silvio” un grande amico dell’America fornendogli le videocassette dell’Usa day e della contro-manifestazione di sinistra dello stesso giorno del 2001: “Con le Torri ancora fumanti, da una parte è stata espressa solidarietà e dall’altra è stata bruciata la nostra bandiera”.
Dove prendono i soldi?
Stern è arrivato in Italia al seguito della V armata nel 1944, come uno dei grandi corrispondenti di guerra statunitensi. Ha scritto sette libri, prodotto cinque film, ricevuto onorificenze di ogni tipo, finanziato decine di fondazioni benefiche, una delle quali porta il suo nome, The Michael Stern Parkinson’s Research Foundation, il cui direttore nel 2000 ha vinto il Nobel per la medicina. L’Università di Harvard gli ha dedicato un istituto e si potrebbe continuare all’infinito con le iniziative del lobbysta filantropo Stern.
In Italia ha vissuto cinquant’anni, raccontati in un libro intitolato “Un americano a Roma”. Per anni è stato il punto di riferimento per ogni americano importante che passasse dal nostro paese, naturalmente c’è stato chi ha sospettato fosse al servizio dell’intelligence, anche perché è stato il primo al mondo a intervistare Salvatore Giuliano, proprio mentre chiedeva al presidente Truman di annettere la Sicilia agli Stati Uniti e pochi giorni prima della strage di Portella della Ginestra. Immaginatevi un Lino Jannuzzi international, ancora oggi molto orgoglioso di raccontare al Foglio di essere Commissioner onorario della polizia di New York: “Così posso parcheggiare ovunque…”.