Milano. “Stupendo, meraviglioso”. Vittorio Feltri, il più irregolare tra i giornalisti del centrodestra, commenta così la scelta di campo di Paolo Mieli di schierare il Corriere della Sera a favore di Romano Prodi (e di qualunque politico italiano il cui cognome non finisca per “sconi” o “lema”). Il motivo di cotanta gioia feltriana, espressa dietro la sua scrivania da direttore di Libero, non è quella tipica di chi dirige un giornale d’opinione, cioè di chi dà il benvenuto a un collega che altrettanto apertamente schiera il colosso di via Solferino. Feltri è felice come una pasqua, perché conta già a uno a uno i lettori in possibile libera uscita dal Corriere a causa della scelta prodiana di Mieli: “Sai mai che qualcuno venga da me…”. La scelta di Mieli non lo stupisce: “Dov’è la novità? Si è sempre saputo che il Corriere ha un orientamento politico. E’ sempre stato così. Io stavo lì negli anni ’70 e ’80, non era diverso anche se si salvavano le apparenze. Mieli non ha scritto niente che non si sapesse”. L’editoriale del Corriere un po’ però deve aver stupito, a giudicare dalle polemiche e dal probabile titolo di apertura di Libero di questa mattina, sbirciato ieri pomeriggio sui tavoli della redazione: “Il Corriere della Sinistra”, scritto con il carattere storico della testata del Corriere.
L’Avvocato Agnelli diceva che Mieli aveva messo “la minigonna al Corriere”, mentre il direttore di Libero sostiene che al Corriere “ha tolto le mutande”, svelando “ciò che ha sempre detto a tutti, anche in televisione, niente di strano né di stravagante”. Feltri e Mieli sono amici e si divertono a scommettere sul risultato delle elezioni. Nel 1994 il direttore del Corriere puntò su Occhetto, Feltri su Berlusconi. Vinse Feltri. Pochi giorni fa hanno scommesso di nuovo, a parti invariate: “Le ideologie non commuovono più nessuno, per me sarebbe un piacere fisico se il centrosinistra dovesse perdere. Immaginatevi la faccia di Prodi nel momento in cui gli comunicano la sconfitta. Se Berlusconi venisse battuto, il Polo dovrebbe soltanto rimanere coeso perché l’Unione non riuscirà a governare più di nove mesi”. In caso di vittoria di Prodi, Feltri non minaccia di espatriare come Umberto Eco: “Sono 15 anni che minacciano di andarsene, ma non se ne vanno mai, anzi non vanno più nemmeno in vacanza. Non hanno capito, invece, che chiunque vinca non cambia niente”.
Vittorio Feltri è tentato dal disertare le urne, poi però vede “le facce di quelli di sinistra” e non può che votare centrodestra: “Qui non c’è da turarsi il naso, c’è da turarsi tutto quello che c’è da otturare e votare il Polo, nonostante Forza Italia sia l’unico partito leninista del mondo occidentale e malgrado il centrodestra non sia riuscito a esprimere un governo liberaldemocratico”. Libero scrive spesso articoli contro il Polo e di recente ha assunto un neo antiberlusconiano come Antonio Socci: “Contro Berlusconi andrei ogni due minuti: avrebbe dovuto fare un governo liberale, ma gli ordini professionali non sono stati aboliti, i titoli di studio continuano ad avere valore legale, i reati commessi a mezzo stampa sono ancora perseguiti penalmente… Questo non è un governo liberale. In più Forza Italia è deludente come partito: c’è il capo, poi il nulla tranne la claque che applaude”.
Ogni tanto Feltri e Berlusconi si sentono, o si incontrano a colazione: “Con Berlusconi non si parla, parla lui. Io non voglio prevalere nelle discussioni o convincerlo: che mi frega? Se ho da dirgli qualcosa la scrivo su Libero”. A Natale, Feltri ha regalato a Berlusconi una sveglia di Cartier: “Mi è costata un patrimonio, ma su Libero avevo scritto che si sarebbe dovuto svegliare se avesse voluto vincere le elezioni. Gliel’ho portata io stesso a Palazzo Chigi, anticipando il regalo che mi fa ogni anno”. Berlusconi, infatti, ogni 12 mesi regala a Feltri un orologio, di cui il direttore di Libero è molto orgoglioso. “Successivamente, quando ho portato a Palazzo Chigi l’assegno con la sottoscrizione a favore di Calipari, Berlusconi è arrivato con una borsettina con questo bellissimo Omega che porto al polso. Abbiamo un rapporto strano, fatto di piccoli sfottò, ma quando posso lo prendo in giro sul mio giornale”.
Il rapporto è lungo e consolidato. Nell’era berlusconiana, Feltri ha diretto l’Indipendente fino a poco prima delle elezioni del 1994, poi ha guidato il Giornale di famiglia, brevemente il Giorno, il Borghese e, da quattro anni, Libero. Feltri ricorda che nel 1993 aveva scritto più di un articolo a favore della nascita di un terzo polo che riuscisse a raccogliere i voti dei partiti travolti da Tangentopoli e facesse da ponte tra l’Msi uscito indenne dalla mattanza perché non corrotto e la Lega di Bossi: “A un certo punto Berlusconi mi chiamò e mi chiese che cosa pensassi dell’ipotesi di un nuovo partito dei moderati. Credo di essere stato l’unico a dirgli entusiasticamente che non era soltanto un’idea giusta, ma che avrebbe dovuto guidarlo lui stesso quel partito, invece di affidarlo a Segni o ad altri di cui si parlava”. La discesa in campo di Berlusconi e il primo, breve, governo di centrodestra, Feltri l’ha vissuta dietro la scrivania di Indro Montanelli al Giornale, dove in quattro anni tiene a precisare di aver raddoppiato le copie e sanato il bilancio: “Mi accusavano di essere diventato berlusconiano, quando invece è stato Berlusconi a realizzare ciò che avevo scritto per mesi sull’Indipendente. Avevamo fatto un patto: io mi impegnavo a fare un giornale di centrodestra, punto e basta. Ricordo che l’indomani della vittoria del Polo, nel marzo 1994, il titolo di prima pagina del Giornale diceva: ‘Difficile governo delle Libertà’, perché avevo intuito i problemi della coalizione. Due giorni prima del famoso ‘decreto Biondi’ sulla giustizia, scrissi un editoriale per scongiurarne la presentazione. Cominciarono a circolare voci su un mio prossimo licenziamento, specie dopo che Di Pietro fu mandato in televisione a leggere il comunicato della procura contro il governo. Berlusconi invece non mi ha mai detto niente, con lui mi sono trovato benissimo. Qualche rottura di scatole l’ho ricevuta da suo fratello Paolo, il quale era convinto che se avessi fatto il giornale di Forza Italia avrei guadagnato copie, visto il successo del Polo nel paese. Gli spiegai che mettere una croce su una scheda è una cosa, cacciare mille lire un’altra”.
Feltri consiglia al Cav. di “drammatizzare” ancora più di quanto stia facendo: “Dica che ci sono comunisti dappertutto, faccia le cose più becere e non abbia paura dei musulmani, come nel caso Calderoli”. C’è molto che non gli va del Cavaliere, “ma certo non passo al nemico: faccio la fronda e segnalo le cose sbagliate”. Dichiarazione finale mielista: “Avrei votato Fini, perché mi erano piaciute le sue posizioni sul referendum, sugli immigrati e su Israele, ma su Calderoli s’è calato le braghe. Sono indeciso tra Forza Italia e Lega”. Per vincere la scommessa con Mieli e non morire di noia con Prodi.
9 Marzo 2006