Il Corriere della Sera di ieri, a pagina 55, ha raccontato di una lettera inviata negli anni Trenta dalla cognata del premier inglese Neville Chamberlain a Margherita Sarfatti. Diceva così: “Vorrei che gli italiani non facessero troppa attenzione alla nostra stampa. Tutti noi che occupiamo posizioni di responsabilità deprechiamo che un linguaggio offensivo possa essere usato. Per nostro conto, siamo insensibili agli attacchi della stampa e sappiamo bene quanto sia irresponsabile”. Il Foglio, al contrario, fa molta attenzione alla stampa inglese, specie all’Economist che è il miglior giornale del mondo quanto a informazione, analisi e commento sulla politica e sulla cultura degli Stati Uniti. Gran parte del merito dell’ammirazione fogliante per l’Economist “americano” è di Adrian Wooldridge e di John Micklethwait, i due formidabili autori di The Right Nation, il libro che ha raccontato la rivoluzione conservatrice americana al netto dei luoghi comuni molto diffusi da altri organi di stampa. Ed è questo il primo disappunto nei confronti dell’Economist europeo che, più modestamente, per raccontare l’Italia si affida agli spartiti della coppia Gomez-Travaglio.
John Micklethwait è appena diventato direttore del settimanale londinese, ma non ha attenuato di una virgola l’antiberlusconismo antropologico del suo predecessore Bill Emmott, malgrado il medesimo Micklethwait sia un autore Mondadori, cioè un berluscones egli stesso. La copertina antiberlusconiana, insieme con l’editoriale e l’analisi, contiene giudizi severi sul Cav., sul suo impero mediatico, sui suoi processi, sulle leggi ad personam. Il Foglio ieri ha fatto notare ciò che l’Economist s’era dimenticato di raccontare, ovvero che le tv berlusconiane hanno rotto un monopolio statale (cosa che in teoria dovrebbe piacere all’Economist), ma anche che molti dei processi anti Cav. si sono conclusi con l’assoluzione e che, infine, le leggi ad personam non hanno intaccato lo stato di diritto italiano, ma si sono limitate a respingere, con poche applicazioni e scarsi risultati, l’attacco di una magistratura politicizzata che, da Antonio Di Pietro a Gerardo D’Ambrosio, oggi siede tra i banchi della coalizione di centrosinistra. Travagliate a parte, l’Economist motiva la sua copertina in favore del licenziamento di Berlusconi con il risultato dei cinque anni di governo del Cavaliere.
(segue dalla prima pagina) All’Economist gli anni berlusconiani non sono piaciuti: poche riforme, poche liberalizzazioni, poca modernizzazione. Non hanno torto, malgrado liquidino in un breve inciso “la riforma del mercato del lavoro e quella delle pensioni”, non proprio due cosucce da niente.
Si può addebitare al governo la paralisi dell’economia, invece che guardarsi intorno e vedere che gli altri non stanno meglio, anzi peggio quanto a occupazione. Però Micklethwait ha detto che Prodi “è più vicino al modo di pensare dell’Economist”. Scartata l’ipotesi di scuola, cioè che questa battuta sia del genere “humour inglese”, il giudizio di affinità politica con la coalizione cattocomunista espresso dal direttore dell’organo di stampa più “selvaggiamente” liberista del mondo meriterebbe palcoscenici migliori. Si può, anzi si deve, criticare Berlusconi per non aver compiuto la rivoluzione liberale promessa. E ci sta anche che la delusione di un liberista “selvaggio” arrivi al punto di non votarlo. Ma credere che “il modo di pensare dell’Economist” fiorirà con Prodi è una delle affermazioni più comiche degli ultimi tempi. All’Economist, Prodi lo conoscono bene. Quando era in Europa, lo massacravano proprio perché era lontanissimo dal “modo di pensare” del giornale. Pare che a Bruxelles non si fosse mai visto un burocrate così poco informato sui dossier e che alle riunioni fosse solito schiacciare un pisolino. Quando Maria Latella gli ha ricordato queste critiche, Prodi con orgoglio ha risposto: “Ma ci credo bene!”.
La coalizione certo non lo aiuta a intercettare “il modo di pensare dell’Economist”, visto che è ideologicamente contraria a tagliare le tasse ed è l’unica alleanza di governo occidentale con due partiti comunisti, uno post comunista più verdi e dossettiani e democristiani. L’eccezione liberista è quella dei radicali, cioè di metà della Rosa nel pugno, mentre tutti gli altri criticano la riforma delle pensioni e vogliono cancellare o depotenziare la legge Biagi. Per il resto basta leggere i programmi. Il Cav. non li rispetterà, ma se Prodi & co. saranno di parola altro che vicinanza “al modo di pensare dell’Economist”. Da un mese, il settimanale critica i francesi che si oppongono ai contratti flessibili, ma al contrario del Wall Street Journal dimentica che il Cav. quella riforma, peraltro ben più radicale, l’ha realizzata tre anni fa. Il paradosso è che l’edizione Usa dell’Economist non è uscita con la copertina su Berlusconi, ma con questo titolo: “Lo stato si sta occupando di te”. Un’intemerata contro il neopaternalismo della sinistra di governo. A leggerlo, è un perfetto manifesto pro Caimano.
8 Aprile 2006