Pirates! Not the Navy!Che fine ha fatto Confindustria? Mentre paghiamo il 65% di tasse, fa solo corsi di formazione

"Paghiamo il 65% di tasse, non possiamo assumere nè licenziare, la cassa integrazione è uno strumento vecchio, non riusciamo ad utilizzare i fondi europei, chiudono centinaia d'imprese al mese e Co...

“Paghiamo il 65% di tasse, non possiamo assumere nè licenziare, la cassa integrazione è uno strumento vecchio, non riusciamo ad utilizzare i fondi europei, chiudono centinaia d’imprese al mese e Confindustria che fa? Niente, a parte corsi d’aggiornamento.” Parlo con un medio imprenditore del centro Italia e l’umone è nero, funesto. Gli imprenditori si sentono soli, quasi abbandonati da una associazione che fino a 10 anni fa costituiva il loro punto di riferimento e oggi dovrebbe essere il presidio della libertà d’imprese e del pensiero riformatore. C’era un tempo in cui ogni soffio del Presidente degli industriali finiva in prima pagina, un tempo in cui i boss di viale dell’astronomia intervenivano a tutto campo e spesso influenzavano le agende dei Governi. E ora? Il declino era iniziato già con la presidenza di Emma Marcegaglia ed il buio è giunto con quella di Squinzi. Confindustria è fuori dal dibattito: niente giornali, niente talk show, niente tg. Mentre spopolano i Della Valle e i Martinetti la fu potente associazione resta fuori da tutto senza avere più nulla da dire. Anche sulla Agenda Monti reazioni piuttosto tiepide mentre infuria il dibattito politico. Siamo ad una svolta cruciale per il destino economico del Paese e Confindustria latita e a volte biascica commenti che puzzano di cerchiobottismo e smarrimento. Sparito il dibattito sull’articolo 18, poca veemenza sul fisco pesante, nessun commento su una archietettura politica in bilico, scarsa convinzione nella polemica contro i pm che fermano gli stabilimenti. E a pensare che un tempo erano tutti li, a pendere dalle loro labbra, a scommetere o confidare sull’ingresso in politica di questo o quel Presidente. Oggi invece gli è scappata la FIAT e molte altre aziende. La sindrome del vecchio sindacato vale anche per quello dell’industria. La fine della concertazione ha spiazzato tutti, padroni compresi. Non sarà forse che se i primi due pilastri della conservazione risultano essere la politica e la burocrazia amministrativa ve ne sia un terzo che risiede nel retroterra culturale della impresa italiana? Se l’Italia di certo deve cambiare passo e ha bisogno di una Agenda di robusto riformismo allo stesso modo Confindustria necessita di un nuovo manifesto, di una nuova struttura e di un nuovo protagonismo. E se la politica è da rottamare, Confindustria è proprio da rifondare.

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