Finalmente ce l’abbiamo fatta ad assistere al debutto di Silvio Berlusconi sul palcoscenico di Servizio Pubblico. Dopo anni di peregrinare tra vita politica e privata, lontano dalle tribune televisive, attendevamo con ansia di rivedere il Cavaliere ospite in un programma di Michele Santoro. La sua ultima apparizione risale, infatti, al 13 aprile 1995 quando lo stesso conduttore lo invitò nella trasmissione che conduceva in quegli anni: Tempo Reale. È stato un inizio abbastanza tranquillo con toni calmi e pacati, ma in un crescendo il cui apice si è potuto notare nei minuti centrali della trasmissione e poi, di nuovo, a pochi minuti dalla fine. Mi sono venute subito alla mente alcune musiche del maestro Morricone, con un gradevole inizio di note interrelate tra loro in modo perfetto che diventano una melodia eroica ed avventurosa che solo i grandi compositori riescono a regalare. Al nostro spettacolo, però, mancavano sicuramente degli orchestrali capaci di colorare armoniose sinfonie ed un coro, in questo caso il pubblico, che con le offese finali rivolte a tredici milioni di elettori, ha stonato la nota conclusiva dell’esibizione.
È sull’orchestrale principale, comunque, che vorrei concentrare la mia attenzione, poiché la performance di Berlusconi dimostra quasi perfettamente come l’epoca dell’entertainment abbia raggiunto il suo culmine. L’informazione è stata trasformata da fenomeno di comunicazione in evento/spettacolo, dove lo share conta più della consapevolezza delle parole. E l’altra sera ne abbiamo avuto la dimostrazione, potendo scorgere tra le righe dello spartito televisivo le abilità di un grande uomo di spettacolo che ha permesso più entrate monetarie al programma piuttosto che uscite informative per i telespettatori. Bisogna allora sforzarsi di analizzare l’uso delle parole e cercare di comprendere quella malattia che i Paesi democratici e le società più colte avrebbero dovuto contrastare. La parola ‘entertainment’ è, infatti, un elemento espressivo, contornato da sfumature del linguaggio, che evocano al lettore emozioni e stati d’animo, allontanandolo dalla realtà e proiettandolo in una dimensione che è forse più metafisica. La parola ‘informazione’ è, invece, sinonimo di una conoscenza approfondita degli accadimenti e dei fatti, che avvicina il lettore alla realtà, rifiutandone invece le rappresentazioni ornamentali. Mi accorgo solo ora di quanto la potenza della comunicazione, presentatasi sotto le vesti di entertainment televisivo, quindi come banalizzazione di idee e di opinioni giustificabili, abbia lavorato in direzione di un assopimento della coscienza collettiva. In fondo se non avessimo vissuto vent’anni di cultura berlusconiana, forse, avremmo badato a ciò che l’altra sera Berlusconi ha detto e non a ciò che ha spettacolarizzato. Andrea Urbinati