di Andrea Urbinati
‘La nostra Costituzione è in parte una realtà, ma soltanto in parte è una realtà. In parte è ancora un programma, un ideale, una speranza, un impegno, un lavoro da compiere.’
Così recitava Piero Calamandrei, uno dei grandi padri costituenti nel suo ‘Discorso sulla costituzione agli studenti di Milano’, nel 1955. Ed io non avrei mai voluto scrivere a difesa del testo che più rappresenta la dignità del popolo italiano. Pensavo, infatti, che mai nessuno si sarebbe permesso di offendere e calpestare la sua profondità di elaborazione e di pensiero.
La Costituzione è il più grande risultato letterario che la storia italiana possa ricordare e annoverare tra i suoi scritti. Non parliamo del solito componimento realizzato da poeti di elevata caratura morale e intellettuale, che dovrebbe evocare nello stato d’animo degli individui emozioni personali e una percezione metafisica del reale. Nella fattispecie i poeti, ai quali rivolgo con umiltà la mia gratitudine, sono i grandi padri costituenti la prima Repubblica, i quali, oltre a mirabili doti artistiche, erano accomunati da straordinario intelletto, ragione e capacità nella ponderazione delle parole. Qualità dell’individuo che sono andate scemando costantemente a causa del declino del Paese, sia esso culturale, etico – morale e ovviamente spirituale.
La Costituzione rappresenta sicuramente il punto massimo in cui ragione ed emozione si toccano, dove illuminismo e romanticismo, in chiave novecentesca, si fondono assieme con l’intento miracoloso di evocare nell’individuo la passione e la consapevolezza di appartenere ad uno Stato democratico. Uno Stato dalle solide radici di uguaglianza e di libertà.
Così recita l’articolo terzo:
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”
E’ il verso che più di tutti mi porta ad indignarmi nei confronti di quanti, non preparati di certo come i fautori della Costituzione, ne vorrebbero una eventuale modifica. Il fulcro del testo è proprio in queste righe: il principio generale che conferisce agli individui pari dignità sociale e libertà di fronte alle legge senza distinzione alcuna. Il senso di democrazia che vuole il potere di molti, rispetto a quello di pochi, che vuole rimuovere gli ostacoli di natura economica e sociale che ne limitano la fattibilità. Oggi, la classe dirigente politica ha violato il principio su cui l’idea di Stato si fonda, oscurando la capillarità e il significato intrinseco del testo. Il sistema ha intaccato, di conseguenza, gli animi di molte persone che avrebbero dovuto combattere per difendere il pilastro sul quale si costruisce la nostra formazione etico – culturale.
Uno studente di legge recitava con estrema indignazione e sgomento:
‘C’è un testo, il più bello che io abbia mai letto. Si chiama Costituzione. E chi l’ha violentata senza pudore continua ad essere votato, esaltato addirittura. E uno dei motivi è la diseducazione: nelle scuole evitano di farne del pane quotidiano, nelle case degli italiani ci sono più Bibbie che Costituzioni. Siamo un popolo conservatore e reazionario. Io credo nell’Italia unita, libera e ugualitaria. Io mi sento un ‘partigiano della Costituzione’’.
Mi auguro che un giorno tutti potremmo fare tesoro di queste parole e che non ci sia più nessuno che offenda e violenti le nostre radici etiche e culturali. Mi auguro che un giorno tutti potremmo dire di essere dei fieri ‘partigiani della Costituzione’.