Come probabile entro 48 ore arriverà un nuovo Governo a guida Enrico Letta. Accantonata la fila di aggettivi per definirlo, non resta che l’esercizio di puro realismo per definire cosa un esecutivo di questo taglio e questa maggioranza potrebbe realizzare nello scorcio di legislatura che le forze politiche decideranno di riservargli. La ri-elezione di Napolitano e la sua influenza nel biennio 2011-2013 hanno ridisegnato definitivamente i dogmi del Presidente della Repubblica notaio o potere neutro per evidenziare la centralità della figura del Capo dello Stato in un modo che corre molto più veloce della politica e la difficoltà di quest’ultima di attrezzarsi rispetto alle situazioni emergenziali.
Abbiamo già visto come maggioranze ampie e costituite da partiti grandi ed avversari rendano assolutamente difficile per il Governo poter esprimere una politica riformatrice profonda e trasversale. Il Governo Monti ne è la più vivida testimonianza. Il Governo proponeva, i partiti litigavano ed in nome degli interessi costituiti smontavano le riforme. E’ successo sulle liberalizzazioni, sulla riforma del lavoro e sulla spending review. Il Governo Letta, sul fronte delle riforme economiche, rischia di rimanere allo stesso modo impantanato con il rischio di dare alla luce riforme zoppe come la legge Fornero.
Il Governo nascente può però agire, sfruttando questa strana maggioranza, su tre fronti in particolare. Per prima cosa deve far in modo che la politica dei partiti possa riacquistare una minima credibilità istituzionale e quindi può sfruttare il metus hostilis di matrice grillina per procedere al taglio dei costi della politica. Non solo province, vitalizi, scorte, auto blu, privilegi, ma anche abolizione del finanziamento pubblico, taglio dei consiglieri regionali e soprattutto liberalizzazione dei servizi pubblici locali e forte contrazione delle società municipalizzate (fino a dove la copertura del referendum permette giuridicamente). Appaiate a questo punto s’inseriscono quelle del secondo che dovranno necessariamente essere riforme costituzionali. Prima fra tutte la modifica della forma di Governo. Sono anni che si parla di semipresidenzialismo su modello francese, prima da destra e oggi, con Renzi, anche da sinistra. A questa maggioranza non si può chiedere un riformismo sfrontato in campo economico-sociale, ma può essere chiesto di realizzare una riforma che sappia garantire stabilità e soprattutto velocità decisionale alla Repubblica. Allo stesso tempo si dovrebbe ridurre il numero dei parlamentari e andare verso un bicameralismo imperfetto. Terzo scopo, quello di riformare la legge elettorale con maggioritario a doppio turno con collegi uninominali. Questi dovrebbero essere gli obiettivi ambiziosi ma soprattutto alla portata di un Governo che sarà di legislatura parziale e poggia sopra una maggioranza vasta ma variegata. Certo servirà anche un palliativo per spegnere l’incendio della disoccupazione e della povertà, ma saranno comunque provvedimenti emergenziali e temporanei.
In un quadro politico così frammentanto, l’obiettivo del Governo Letta dovrebbe essere quello di rimettere insieme i pezzi, arginare l’ondata dell’antipolitica da un lato e della corruzione dall’altro. La speranza è che sia un “Governo delle regole” cosicchè dalla prossima tornata elettorale si possa comporre un sistema bipolare serio e soprattutto con la possibilità di governare senza i veti delle minoranze parlamentari o delle scissioni. Un “Governo delle regole” che sappia bonificare la palude della politica dei partiti, rafforzare le norme anti-corruzione, sottrarre uno spicchio di potere agli stessi nelle amministrazioni locali, eliminare il finanziamento pubblico sostituendolo con forme di contribuzione privata, liberare i dati delle P.A. con un’operazione di trasparenza, riformare la Costituzione. Se maggioranza e Governo riusciranno, in breve tempo, a normalizzare la politica e garantire nuovi meccanismi di selezione della classe politica, Enrico Letta avrà vinto la sua scommessa. Dopo di che al voto, con nuove regole, ricomposizione dei poli e soprattutto la garanzia che chi sarà chiamato a governare potrà affrontare le decisioni politiche con maggiorì garanzie di stabilità. Così, nel nuovo sistema istituzionale, i governanti potranno dar fondo a tutti gli strumenti giuridici a disposizione per realizzare riforme strutturali che ridisegnino la struttura economica e amministrativa del Paese.