il SocialistaIl cielo sopra Belgrado

È incredibile come nel periodo storico con i più grandi flussi migratori di sempre nessun grande Paese abbia un Ministero dedicato, come nessun Primo Ministro (o Capo di Stato) abbia fatto l'Erasmu...

È incredibile come nel periodo storico con i più grandi flussi migratori di sempre nessun grande Paese abbia un Ministero dedicato, come nessun Primo Ministro (o Capo di Stato) abbia fatto l’Erasmus e che la questione venga affrontata esclusivamente dal punto sociale o da quello della pubblica sicurezza.

Le foto di questi giorni, diffuse dall’agenzia Reuters, dei migranti provenienti da Afghanistan, Pakistan e Siria, intere famiglie con molti bambini in fila sotto la neve di Belgrado, spesso scalzi, per ricevere nella migliore delle ipotesi un pasto caldo riportano la mente indietro di molti anni.

A Belgrado ci sono 30 centimetri di neve, di notte la temperatura tocca i meno venti gradi e nessuna di queste persone è vestita o attrezzata per questo clima.

Immagni scioccanti che in molti hanno paragonato a quelle del campo di concentramento di Auschwitz durante la Seconda Guerra Mondiale. Immagini che non possono, e non devono, lasciare indifferenti.

Sotto i nostri occhi assistiamo alla mancanza di volontà politica per cercare di soddisfare le esigenze immediate di quelle che sono, prima di tutto, persone vulnerabili prigioniere dei muri d’Europa. Un fallimento dell’Unione Europea che ha chiuso gli occhi davanti al fatto lampante che le proprie politiche mal pianificate non hanno fermato il flusso di persone, ma non hanno nemmeno predisposto alternative legali per permettere loro di viaggiare in modo sicuro.

Il viaggio è il tratto distintivo della nostra generazione, uno dei luoghi simbolo dell’epoca nella quale viviamo sono gli aeroporti, per noi è normale girare tutta l’Europa senza tirare fuori il passaporto o nella stessa giornata telefonare ad un amico in Spagna e chattare con nostra sorella a Berlino. Eppure viviamo nell’epoca nella quale si è ricominciato a costruire i muri, dove chi arriva da fuori è visto come un problema, dove nonostante tutti gli strumenti che abbiamo a disposizione la cultura altrui è un limite, non un’opportunità, dove il concetto di straniero anziché disinnescarsi diventa una miccia esplosiva.

Theresa May il Primo Ministro britannico ha annunciato il varo di un rigoroso sistema di permessi di lavoro che di fatto sbarrerebbe l’ingresso agli immigrati europei che arrivano nel Regno Unito per trovare un lavoro. Ed è bene ricordare a chi vorrebbe sbarrare le nostre di porte che oggi la quinta città italiana é Londra, con 250mila nostri connazionali che ci vivono, e che ogni mese un numero sempre crescente di ragazze e ragazzi che parlano le lingue mettono in un trolley sogni ed ambizioni e prendono un volo low-cost perché casa loro è l’Europa.

È incredibile come nel periodo storico con i più grandi flussi migratori di sempre nessun grande Paese abbia un Ministero dedicato, come nessun Primo Ministro (o Capo di Stato) abbia fatto l’Erasmus e che la questione venga affrontata esclusivamente dal punto sociale o da quello della pubblica sicurezza.

Belgrado, ma non dimentichiamo Lampedusa, i morti nel Mediterraneo sono la parte finale ma ci sono anche quelli che muoiono prima ancora di imbarcarsi o le periferie delle nostre città con le seconde generazioni che bruciano di indifferenza e violenza, pertanto proporre il bombardamento preventivo dei barconi o la caccia agli scafisti sono soluzioni assai semplificate rispetto all’immensa tragedia umana di popolazioni che vengono verso di noi e che noi vorremmo tentare di non vedere.

A volte, più che di un mondo nuovo, c’è bisogno di occhi nuovi per guardare il mondo. Nel 1989 i giovani sognavano la caduta di quel muro che divideva la Germania e tutto il mondo sulle note di “Wind of Change” hit della rock band tedesca Scorpions. Sognavano con la voce di Klaus Meine che usciva dal walkman di ascoltare quel vento di cambiamento che soffiava sull’Europa.

Così a pochi giorni dal Giorno della Memoria, con le immagini di Belgrado negli occhi e di un’Europa che ha ricominciato a costruire muri, fisici ed ideali, pur riconoscendo il pieno valore della memoria come strumento culturale prima di tutto, spero che provocatoriamente che le Istituzioni scelgano di non fermarsi alle celebrazioni, che per una volta la storia lasci spazio all’attualità. Che la commemorazione si faccia azione e che tornino ad echeggiare forte le parole del sermone del pastore protestante tedesco Martin Niemöller, rivisitate poi da Bertolt Brecht: “Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare”.