PromemoriaUna giornata mondiale ci seppellirà

A sentire gli analisti delle nazioni unite dovremmo tutti emigrare in Norvegia , al primo posto per il 2017 fra i luoghi che offrono felicità, meglio ancora parliamo di paesi col più alto tasso di ...

A sentire gli analisti delle nazioni unite dovremmo tutti emigrare in Norvegia , al primo posto per il 2017 fra i luoghi che offrono felicità, meglio ancora parliamo di paesi col più alto tasso di qualità della vita. Oggi sarà un florilegio di expertise sul tema e sopratutto guarderemo con puerile stoltezza a nord imprecando contro il fato di essere nati in terra italica piuttosto che Scandinavia. E di tutto questo dovremmo (ma anche no) ringraziare l’Onu, per l’ennesimo report che riempie il calendario di giornate mondiali a tal punto che il tempo ordinario – rimasto solo nel gergo liturgico-cultuale – non esiste più. Fra quelle “necessarie” a quelle “voluttuarie” in un anno si contano oltre 250 giornate dedicate a tutto (dal rifugiato alla salvaguardia delle rane, dalla giornata della lentezza o della felicità fino al risata day o quella dedicata agli Ufo persino alla pulizia delle mani). Molte di queste giornate da segnare in rosso (pensa te) sono patrocinate dalle istituzioni e spesso sovvenzionate con soldi pubblici . L’happiness day – celebrato oggi – è l’ennesima genialata affinchési possa vivere in benessere con l’ambiente intorno. E detta così dovrebbe vincere a mani basse l’Italia, il paese più bello del mondo per arte, cultura, paesaggio, cibo, ecosistema generale. Ma aspettiamoci di essere seppelliti dagli esperti di felicità (badate bene: gli stessi che il 13 marzo scorso sapevano tutto sul rene e il prossimo 23 saranno conoscitori senza rivali di meteorologia) i quali ci faranno lo spiegone-pistolotto sulla felicità in Norvegia senza rinunciare ad immancabili riferimenti alla felicità costituzionale degli Usa e nel frattempo assisteremo a gustosi dibattiti sulla forza attrattiva delle località esotiche (vuoi mettere il viaggio di nozza fatto ai Caraibi?).

Fin qui la battuta ma mi sono posto una domanda molto semplice per la quale ci sarebbe molto da dire sul lavoro istancabile delle Nazioni Unite e le sue agenzie di analisi. Ma che fa realmente oggi l’Onu mentre mezzo pianeta va a rotoli?

Facciamo un giro ideale del pianeta: mentre si scrive la Turchia è in piena crisi diplomatica con la Germania, arresta giornalisti interni e stranieri accusandoli di terrorismo (al danno pure la beffa). Spostandoci a diverse latitudini ad est la Corea del Nord ha superato – ha dichiarato Trump – la “pazienza” degli americani e lo stesso presidente Trump al prossimo summit con la Cina chiederà collaborazione per una eventuale azione militare. Oppure parliamo della carestia nello Yemen, la più grave dal 1945, che sta facendo danni migliaia di morti in quell’area. Sono esempi di stretta attualità più che sufficienti per domandarsi tutta la pochezza politica dell’Onu, ridotto purtroppo a soggetto dormiente in tutte le questioni globali e la cui incidenza sulla geopolitica che conta è pressoché residuale o del tutto assente.

Siamo all’ennesimo salto fra ideale e reale: nel primo ordine di pensieri l’Onu dovrebbe dovrebbe essere un ente sovranazionale, superiore alle singole potenze sopratutto nella sua assise generale, con reale capacità di azione e di posizione. Ma nella realtà dei fatti la famosa “egida” non cambia né gli attori ne le volontà ma spesso è una tutela al ribasso, uno scudo per interventi militari rivelatisi dannosi. Ci consolava quanto scritto tempo fa sul fatto che l’Onu aveva ricacciato indietro lo spettro di una terza guerra mondiale globalmente intesa grazie agli equilibri del suo consiglio di sicurezza. Ma adesso non vi sono passi decisivi ma si vive di inerzia assoluta. E la guerra non solo non è stata debellata in molte zone (giorni fa la Siria ha ricordato i sei anni di conflitto) ma essa permane tanto da far dire a Papa Francesco che siamo in presenza di una terza guerra mondiale in atto per “frammenti”, pezzetti.

Forse l’Onu dovrebbe dedicarsi più ai luoghi dell’infelicità, altro che la Norvegia con tutto il dovuto rispetto. Dovrebbe farsi voce dove il dramma umano chiede di essere ascoltato e risolto. Il sospetto invece è che che il palazzo di vetro rischia di trasformarsi in una campana (sempre di vetro) dove all’interno si vive attutiti e insonorizzati alla sofferenza mentre fuori si grida al dolore e i deboli chiedono aiuto. Anche limitandoci alla comunicazione oggi il mondo guarda più al Vaticano che a New York e si aggrappa alla voce autorevole di quattro papi (da Paolo VI a Francesco) i quali denunciano costantemente le condizioni dei più deboli, delle vittime dei conflitti. Dal palazzo vaticano (che non è di vetro) si denuncia senza timore del politicamente corretto e dove non si sente il bisogno di procedere felpati e andare per il sottile.

Mi dite – in questo senso – quanto sta incidendo il segretariato di Ban Ki Moon (ieri) o dell’attuale Antonio Guterres in carica da gennaio, del quale si era detto che è uomo pratico e capace di creare unità? Per ora non si è visto nulla di tutto ciò, eccetto un calendario pieno di demenziali giornate mondiali….