il SocialistaSiamo tutti nella roulette russa del terrore, ma resistiamo.

Siamo tutti tristi, indignati, sgomenti. La tragedia di Barcellona ci colpisce tutti. Adesso Barcellona. Prima Parigi. Prima ancora Londra due volte. Andando indietro: Stoccolma, Berlino, Nizza....

Siamo tutti tristi, indignati, sgomenti. La tragedia di Barcellona ci colpisce tutti.

Adesso Barcellona. Prima Parigi. Prima ancora Londra due volte. Andando indietro: Stoccolma, Berlino, Nizza. In poco più di un anno, otto attentanti con la stessa tecnica, terribilmente folle: lanciarsi con un veicolo a motore contro la folla.

Ci sono da aggiungere Turku, in Finlandia, l’ultima in ordine di tempo e la bomba alla Manchester Arena durante il concerto di Ariana Grande, tecniche diverse ma stessa matrice.

Dopo Barcellona salgono a 865 gli attacchi terroristici nel mondo nel 2017. Le vittime sono oltre cinquemila, ma purtroppo il dato è destinato a salire. Inutile girarci intorno, quando un attentato colpisce uno dei luoghi che custodisce i nostri ricordi, che sentiamo familiare, ci sentiamo più coinvolti. Forse è ingiusto, ma è naturale.

Ormai è chiaro gli obiettivi dei terroristi hanno poco a che fare con la geopolitica, dal coinvolgimento più o meno attivo dei singoli paesi teatri degli attentati in campagne militari contro lo Stato Islamico (IS) ma puntano a colpire luoghi simbolo del nostro continente e le Ramblas di Barcellona lo sono al pari degli Champs-Élysées di Parigi o Trafalgar Square a Londra.

La nostra generazione, e quella dopo sta crescendo con una sorta di assuefazione al terrore. “Speriamo non succeda a me” è la frase più ricorrente dei giovanissimi alla notizia di un nuovo attentato, ma (quasi) nessuno è disposto a cambiare le proprie abitudini, a rinunciare al suo viaggio o al concerto del suo artista preferito.

A 24 ore dall’attentato vedere migliaia di persone lungo quel chilometro e quattrocento metri che collega Plaça de Catalunya con Port Vell, il porto antico, è la risposta concreta a quel “no tinc por”, non ho paura in catalano, scandito da oltre 30 mila persone alla manifestazione in ricordo delle vittime. Le Ramblas torneranno ad essere di tutti ha detto il re Felipe VI, e così è stato.

Se i terroristi hanno abbandonato la costosa e articolata strategia degli attentati “da film” come quello dell’11 settembre 2001, per abbracciare il messaggio del portavoce del Califfato Mohammed Al Adnani che invitava a colpire quelli che per loro sono infedeli con sassi, coltelli e veicoli a motore c’è un’umanità variegata che resiste continuando a vivere la propria vita, a viaggiare, a scendere per strada anche se quella strada poche ore prima è stata il teatro di un’ atroce follia.

Siamo consapevoli di essere tutti in una sorta di roulette russa nella quale siamo finiti, contro la nostra volontà, durante la nostra quotidianità: mentre passeggiamo, mentre assistiamo ad un concerto, ad una partita di calcio, mentre siamo in un locale ad ascoltare musica o a mangiare al ristorante.

Si può discutere del perché un furgoncino sia potuto arrivare indisturbato sulla Rambla, di maggiori misure di sicurezza per salvaguardare i pedoni, di nuove norme per il noleggio delle auto, delle falle delle varie intelligence europee, della politica incapace di leggere questo mondo nuovo, di un’Europa debole. Ma il dato vero è che ci sono giovani (terroristi) mossi dai più svariati motivi (non esclusivamente religiosi), contro altri giovani che semplicemente vivono la propria vita. Una guerra, come l’ha definita Papa Francesco, senza eserciti ne territori da difendere, senza codici d’onore o zone franche. Una mattanza senza senso che può essere innescata da chiunque, dovunque.

C’è un dato generazionale che tutti trascurano, c’è un sentimento di solitudine sociale prima ancora che personale che è alla base del reclutamento da parte di Daesh di cittadini europei, figli o nipoti di immigrati, ma nati e cresciuti nelle nostre città, che hanno frequentato le nostre scuole, hanno giocato con noi a calcio ed oggi ci odiano.

Sono queste le ore nelle quali condividere il dolore per ciò che è successo e la speranza che non succederà più. Speranza vana almeno nel breve periodo, ma sicuramente anche se colpiti, anche se con le cartoline del nostro cuore macchiate (sono i luoghi dei nostri ricordi belli e spensierati) non smetteremo di vivere, a modo nostro e nei nostri posti, non rinunceremo alla bellezza della quale siamo circondati. È questa la nostra inconsapevole resistenza, è questa la speranza che un giorno il terrore verrà sconfitto.

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