Millennials#jesuislabadessa: trovare un equilibrio tra i generi è una priorità dei Millennials

Succede che un giovane fumettista di satira, Mattia Labadessa, è costretto a chiedere scusa per una battuta, dopo che il post che la conteneva è stato cancellato, il suo profilo bannato, dopo che s...

Succede che un giovane fumettista di satira, Mattia Labadessa, è costretto a chiedere scusa per una battuta, dopo che il post che la conteneva è stato cancellato, il suo profilo bannato, dopo che sulla sua bacheca sono piovuti parecchi insulti, dopo che una solerte giornalista su wired ci ha spiegato la gravità del suo comportamento. Non c’è millennials che non conosca Black Mirror, credo che quanto accaduto possa benissimo essere un episodio, nonché un caso esemplare di un atteggiamento che sta diventando sempre più frequente: sfogare rabbia sui social contro un perfetto sconosciuto reo di aver offeso i nostri valori.

Partiamo dalla battuta: “Dovrebbero inventare un’app per smartphone che se vedi una ragazza carina in metropolitana e te ne innamori ti dice chi è, quanti anni ha, poi l’addormenta e ti fa fare sesso con lei”. Molte donne constatatano che, se la donna è addormentata, NON può dare il proprio consenso, da cui tecnicamente deriva che l’autore ha descritto uno stupro. La mia perplessità è che derivare delle conseguenze logiche all’interno di una battuta è una forzatura, e ritengo che nell’ironia, come nella narrativa, viga la “sospensione dell’incredulità”, il requisito per cui non riteniamo necessaria la coerenza logica tra tutti gli elementi.

Poiché non è stata capita, vediamo dove puntava l’autore. Se non scopate da un po’ capite che Labadessa prendeva in giro gli uomini che, nonostante tutti gli strumenti, anche tecnologici, di cui dispongono, faticano a soddisfare i propri istinti primari; perché impacciati, incapaci di relazionarsi, perché sotto accusa, perché sfigati? Non è importante, non lo dice, ma nell’interpretazione (non serve aver studiato ermeneutica o critica della letteratura), molto giocano i pregiudizi del lettore. Se una frase porta a pensieri oltre il significato letterale, è buona. Nelle scuse che leggete sul suo profilo Facebook, spiega che prendeva in giro la diffusione di migliaia di app completamente inutili, tema che mi pare reale, soprattutto se avete frequentato una certa cultura startuppara. Insomma, nel mio ambiente la battuta ha le carte in tavola per strappare un sorriso, magari in altri ambienti non fa ridere: succede che l’ironia, come tutti i fenomeni culturali, non sia oggettiva.

Probabilmente, proprio per questo motivo, ironie e battute sono estremamente utili a cementare relazioni, amicizie, e, certo, possono prestarsi anche a finalità odiose: siamo tutti d’accordo che battute su donne acide perché non scopano, omosessuali dai ruoli incerti nella vita familiare, uomini cornuti perché impotenti, siano utilizzate per separare, segregare, e talvolta ferire volontariamente e in maniera codarda. Non riesco a vedere questa intenzione nella battuta del nostro, né penso che chi ne rida sia uno stupratore che intende rinforzare il gruppo degli stupratori.

Le donne offese avrebbero potuto rispondere con “dovrebbero inventare un’app che ti consente di capire se l’uomo che hai appena conosciuto durerà più di 5 minuti e lo riaccompagna a casa in caso contrario”. Invece ci troviamo un articolo di stigma, con tutto l’armamentario concettuale della violenta guerra tra sessi in corso: il tema del consenso, #metoo, la consapevolezza dell’uso improprio delle parole (perché di questo parliamo), il politicamente corretto, il bisogno di rieducare gli uomini. Scritto da una millennial contro un coetaneo (o quasi).

Guerra giusta? Presto per dirlo, anche se sta puntando verso obiettivi che non condivido. Il caso Weinstein si costruiva su due concetti: uso improprio del potere e mercificazione di qualunque cosa. In una società ancora saldamente fallocentrica, e gerontocratica, è più probabile che sia un uomo ad approfittare schifosamente del potere e a instillare nelle donne il ragionamento mercantilista di vendere il proprio corpo per fare carriera. Sarebbe utile mettere in questione la struttura del potere nella società capitalista, la concentrazione assurda che ha luogo in alcuni settori, per esempio il cinema, dove poche persone decidono della vita di decine di attori; sarebbe utile criticare le relazioni umane impostate a mercato, perché oramai è tutto mercato, ma invece di rivendicare quel che di sano ha prodotto il marxismo, ancora ostracizzato nelle università USA, si sposta la lotta su un terreno terribilmente scivoloso e in parte ignoto. Non si legge nelle relazioni sociali ed economiche una causa e quasi si arriva ad accusare la differente natura maschile, più incline agli abusi e alle sopraffazioni, con argomenti che ricordano, a parti invertite, anni di maschilismo (le donne sono inferiori per la propria natura fragile).

Ciò che testimonia l’affaire Labadessa è una guerra già fuori controllo, che censura ironia innocente, che intende rieducare all’ortodossia dei buoni e sani valori, e qui sta l’aspetto più grave. Di solito sono le dittature a prendersi cura dei nostri valori, a farci sentire sbagliati, sono le infestazioni intellettuali più resistenti a entrare nella nostra mente, come mostrava Foucault quando analizzava le tematiche affrontate nelle confessioni effettuate dai preti cattolici. Ulteriore aggravante, il comportamento di Facebook che cancella il post e banna il profilo: se la satira deve sottostare all’etica puritana siamo finiti.

La verità che ci ha svelato la psicanalisi più di cento anni fa è che siamo parecchio marci nell’inconscio, facciamo sogni vergognosi e abbiamo fantasie perverse, che non possiamo solitamente sfogare, né condividere pubblicamente; esistono migliaia di comportamenti orrendi da parte soprattutto di uomini, non sono un ipocrita, conosco il fenomeno del turismo sessuale, la violenza domestica, gli stupri alle feste universitarie, e la società è stata finora troppo tenera nel tollerarli. La domanda che dovremmo porci tutti, provando anche a riflettere alle varie esperienze pedagogiche della nostra esistenza, è “portiamo avanti una guerra lucida identificando insieme i bersagli e gli obiettivi, oppure andiamo di napalm e pazienza per le vittime collaterali come la satira e la libertà di opinione?”. La violenza sulle donne va combattuta innanzitutto dagli uomini, che devono lavorare per produrre all’interno delle proprie subculture una forte critica dell’uso della forza fisica, del ricatto, della manipolazione. Perché questa critica non venga fermata da ragionamenti auto-assolutori, occorrono però due condizioni: basi solide (corretta identificazione dei comportamenti devianti), una visione anti-ideologica.

Se trasformiamo in ideologia una legittima rivendicazione, pensando di essere ostaggio di una visione del mondo così immersiva da condizionare perfino la fisica (rimando a Luce Irigaray), se confondiamo i confini tra bene e male e non lavoriamo con attenzione su ogni singola vicenda, sacrificando il dissenso, che aiuta a sviscerare le questioni più complesse, non solo non otterremo nessun risultato ma, anzi, complicheremo ulteriormente relazioni che non godono già di ottima salute, se è vero che ci sono 8 milioni di single in Italia (metà tra i giovani).

ANDREA DANIELLI

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