Tortuga è un think-tank di giovani ricercatori. E questo già ci piace. Un motivo in più per stimarli è l’hackathon che hanno organizzato la settimana scorsa per concepire proposte di policy per la nuova generazione… elaborate da associazioni giovanili.
Un bel risultato? Pensiamo proprio di sì, anche grazie alla partecipazione di mentor del calibro di Tito Boeri, Carlo Cottarelli, Filippo Taddei, Irene Tinagli, Carlo Stagnaro, Maurizio Ferrera, Marco Bentivogli, Andrea Stuppini, Andrea Gerosa, Carlo Devillanova. E soprattutto delle proposte emerse, che potete trovare QUI. Noi, da parte nostra, abbiamo cercato di scoprire di più di questo gruppo. E il risultato è stato una chiacchierata molto interessante.
1. Grazie per l’intervista. Ci fate una breve introduzione sull’evento Hackitalia?
Hackitalia è un Hackaton di under-30 su soluzioni innovative alle sfide di policy del nostro Paese. L’evento è organizzato dal Sole24Ore e da Tortuga, e sponsorizzato da Algebris, Centro Luigi Einaudi, Samsung e ThinkYoung. Si tratta di una competizione di 24 ore a squadre su 4 tematiche di politica ed economia: scuola ed università, immigrazione e demografia, cambiamento tecnologico e lavoro, fisco e spesa pubblica. I temi saranno declinati in policy-case specifici, da affrontare con il supporto di mentor esperti nei rispettivi campi. I team in gioco sono stati otto (due gruppi per tema), per un totale di circa 50 partecipanti. I gruppi erano composti da studenti e professionisti under-30 selezionati in base alle loro competenze e voglia di mettersi in gioco.
2. Cosa significa, oggi, una politica per le nuove generazioni?
Una politica più onesta intellettualmente. Che soffra di meno dei cicli elettorali e si concentri sul lungo termine. Non è semplice, perché per fare questo è necessario un capitale politico enorme investito per propellere riforme con pochi effetti positivi (se non negativi) nell’immediato e frutti che verranno colti solo una volta che la legislatura sarà finita. Una politica anche meno dettata dalla pancia e più dalla testa, che segua un principio di ragionevolezza: concentrarsi sugli ideali da perseguire, studiando e scegliendo la via migliore per raggiungerli, aldilà di pregiudizi astratti pregressi.
3. Esiste una “questione giovanile”? Se sì, come intendete affrontarla?
Decisamente, in Italia come in Europa. Un recente report del Fondo Monetario Internazionale ha evidenziato come nell’Unione Europea, sebbene gli indici totali di disuguaglianza siano rimasti grosso modo stabili durante la crisi, i più giovani soffrano le condizioni peggiori fra le diverse classi d’età. Ad esempio, partendo da un tasso a rischio povertà fra il 19 e il 20% nel 2007, sia per la fascia 18-24 anni sia per gli ultrassessantacinquenni, dal 2008 si è aperta una forbice che ha portato, nel 2016, a un tasso per i più giovani quasi al 24%, mentre per i più anziani è sceso fino al 14%. Questo è dovuto sia al fatto che i giovani posseggono molta meno ricchezza che possa fare da cuscinetto nei momenti di diminuzione o interruzione del reddito, sia perché beneficiano meno di ammortizzatori sociali, spesso collegati al periodo contributivo (e che comunque presuppongono di aver lavorato). Per quanto riguarda il caso specifico dell’Italia, ce ne siamo occupati con un articolo lo scorso giugno: l’Italia non era un Paese per giovani vent’anni fa, ma ora lo è ancora di meno. Il tasso complessivo di disoccupazione è passato dal circa 5% del 2007 all’11% odierno, quello giovanile dal 20 al 32% nello stesso periodo. Dal 1995 al 2014, la ricchezza media delle famiglie con capofamiglia dai 18 ai 34 anni è calata del 60%, mentre quella dei +65 è aumentata della stessa proporzione; per i più giovani è anche diventato più difficile acquistare una casa, con il tasso di proprietà che è aumentato dal 1997 per le famiglie con capofamiglia ultracinquantenne, ma è invece cominciato a scendere a partire dalla fine degli anni novanta per quelle con capofamiglia fino a 30 anni.
4. Un disastro… E quindi?
Crediamo che questa questione giovanile vada affrontata prendendo di petto il problema all’origine di tutto: il lavoro. Un lavoro stabile garantisce, oltre al reddito, di poter risparmiare per i periodi meno rosei e di poter prendere decisioni importanti e di lungo periodo, come accedere a un mutuo. Gli sgravi contributivi per l’assunzione dei giovani contenuti nella legge di bilancio vanno proprio in questa direzione e il loro mantenimento dovrebbe essere la priorità. D’altra parte, dobbiamo anche assicurarci che non si creino ulteriori iniquità generazionali attraverso una redistribuzione perversa del debito pubblico: per questo motivo ci siamo impegnati in prima persona, nei mesi passati, per difendere l’adeguamento dell’età pensionabile all’aspettativa di vita, previsto dalla legge Fornero. Anche in questo caso, nella legge di bilancio si è giunti a un buon compromesso che ha evitato un aumento insostenibile del debito a carico delle nuove generazioni.
5. Welfare e giovani: ci hanno cresciuto con l’idea che il welfare sia imperituro e sostenibile, ma nei fatti non si è dimostrato tale. La domanda è: che tipo di welfare dovrebbero aspettarsi i giovani? O, affrontando di petto il futuro, che tipo di welfare dovrebbero richiedere i giovani?
Come appena sottolineato, le problematiche di lungo termine dovute ad alcune spese in deficit poco oculate operate dai Governi negli ultimi quarant’anni sono sotto gli occhi di tutti, ed in molti casi sono state le generazioni più giovani a rimetterci. Questa campagna elettorale ha dedicato una certa attenzione alle coperture di spesa, ma ciò non ha frenato le ormai celebri e palesemente insostenibili promesse elettorali, che in questo momento storico hanno uno sgradevole sapore di ulteriore ed amara presa in giro. C’è chi invece è andato controcorrente, come +Europa, proponendo di bloccare la spesa pubblica primaria nominale per 5 anni. Le giovani generazioni hanno il diritto di aspettarsi e, se ciò non accade, il dovere di richiedere ad alta voce un welfare equo e sostenibile, dove per “equo” intendiamo nel rispetto di un patto intergenerazionale che non gravi sempre sulla generazione più giovane, quella che porta meno voti. Indipendentemente da quanto si spende, questione che meriterebbe un capitolo a parte, risulta più che mai importante che le forze politiche mettano in chiaro “come si spende” e si dimostrino in grado di equilibrare il “per chi si spende”. Nei policy case preparati per Hackitalia abbiamo cercato di dare il giusto peso ai due concetti di sostenibilità ed equità, in cui, come gruppo di studenti di economia ma prima di tutto di giovani, crediamo enormemente.
6. Esiste, secondo voi, una consapevolezza di classe – e, di conseguenza, politica – che possa far riferimento ai giovani?
Una premessa: tutti noi viviamo l’impegno “politico” con l’aspirazione di permettere al paese di sfruttare fino in fondo le sue enormi potenzialità. Se questo accadesse, non avremmo schiere di giovani costretti a scegliere fra la permanenza in Italia e la ricerca di opportunità (lavorative e quindi di vita) all’estero. Se infatti per alcuni la scelta di andarsene è volontaria e affine alle proprie legittime ambizioni lavorative, per altri si tratta più di un trade-off tra una vita poco soddisfacente da un punto di vista lavorativo, ma arricchita dalla vicinanza degli amici e dei familiari in Italia, o viceversa all’estero. Crediamo non esista ancora in Italia una coscienza di classe che fa riferimento ai giovani, ma intendiamo contribuire a formarla.
7. Politica pura. Immaginiamo che voi domani stesso poteste proporre una legge con la certezza che questa venga approvata. Quale sarebbe?
Ci sono diversi ambiti di estrema rilevanza nei quali sarebbe necessario intervenire e per cui ci siamo spesi in passato e recentemente. L’introduzione di un salario minimo, accompagnata da una decentralizzazione della contrattazione ad esempio, o ancora l’introduzione di un sistema di valutazione, premi e formazione più forte all’interno della scuola, tema su cui abbiamo scritto molto nelle passate settimane, in occasione del rinnovo del contratto degli insegnanti. Se dovessimo puntare su una in particolare, probabilmente sarebbe una riforma del sistema di aliquote, deduzioni e detrazioni Irpef. Un’imposta che dovrebbe essere progressiva in teoria ma che non lo è in pratica proprio per la giungla di sconti ed esenzioni accumulate negli anni: sarebbe stimolante mettere a punto una nuova struttura che risulti in aliquote marginali effettive veramente progressive al crescere del reddito; una riforma che per gli squilibri generazionali di cui sopra, sarebbe automaticamente anche molto pro giovani.
8. Parliamo di voi: quanti siete, quando e come è nato il progetto Tortuga?
Tortuga nasce nell’Aprile 2015 dal desiderio di sei amici, studenti di economia, di creare uno spazio nuovo dove poter discutere in maniera libera e rigorosa di economia ma anche dove “sporcarsi le mani”, applicando alla realtà del nostro Paese le competenze acquisite sui banchi universitari per provare a contribuire al suo miglioramento. Ad oggi contiamo 30 membri fra studenti e giovani professionisti sparsi in varie città del mondo tra cui Milano, Bologna, Bruxelles, Francoforte, Parigi, Amsterdam e Chicago. Le nostre due attività principali sono la stesura di articoli (pubblicati su Econopoly-IlSole24Ore, Business Insider e Lavoce.info) e la produzione di report ed analisi di approfondimento per politici, policy-makers, fondazioni ed organizzazioni internazionali.
9. Tortuga è un raro caso di economisti che fanno servizio pubblico: perché i vostri colleghi secondo voi sono concentrati solo sulle pubblicazioni scientifiche?
Innanzitutto, le “pubblicazioni scientifiche” sono anche esse un servizio pubblico, e piuttosto importante. Non prentendiamo di dare un giudizio tranchant sul lavoro di menti molto più brillanti delle nostre. Pensiamo che la ricerca economica, se condotta in maniera rigorosa, sia un prezioso tentativo di gettar luce sul mare di complessità che ci circonda. Un mare fatto persone, risorse, relazioni, incentivi, scelte razionali e scelte irrazionali, dinamiche collettive, tecnologia in continuo mutamento. Descrivere accuratamente questo mare è una sfida a dir poco titanica, e intraprenderla con integrità e determinazione non è per nulla scontato.
Allo stesso tempo, questo mare non ha bisogno solo di mappe dettagliate, ma anche di persone disposte a navigarlo. Fuor di metafora, pensiamo che sia sbagliato pensare che i ruoli, quello degli economisti e quello dei politici, siano in opposizione o in contraddizione. Pensiamo che siano complementari. Basare il ragionamento politico su uno studio scientifico della realtà è l’unico modo per rendere una politica pubblica efficace e sostenibile nel lungo periodo. D’altra parte la ricerca economica, se vuol “stare sul mercato”, deve affrontare le domande che si pongono le famiglie, le imprese, la politica. Chiudersi nelle rispettive torri d’avorio è soprattutto rischioso. Tortuga, nel suo piccolo, cerca di offrire questo servizio: fare policy, in maniera indipendente e rigorosa, ma facendo riferimento ai valori, alle passioni, alla vita quotidiana delle persone. E non chiamateci economisti, che poi si arrabbiano… Siamo solo studenti di economia!
ALESSIO MAZZUCCO, ANDREA DANIELLI