MillennialsSprigionare il potenziale dei Millennials tra lavoro, scuola e digitale

Questa legislatura, da poco inaugurata, ha una particolarità: in termini di età anagrafica dei parlamentari, è la più “giovane” della storia repubblicana. Questo lascia ben sperare, sulla carta, pe...

Questa legislatura, da poco inaugurata, ha una particolarità: in termini di età anagrafica dei parlamentari, è la più “giovane” della storia repubblicana. Questo lascia ben sperare, sulla carta, perché sono proprio i giovani ad aver bisogno di persone che, in Parlamento, combattano per le loro istanze. La classe giovane è quella che, tra tutte, ha davanti a se un futuro quanto più nero. I redditi e la ricchezza degli under 35 sono in caduta libera rispetto ai loro coetanei di 25 anni fa, mentre la ricchezza della fascia anziana aumenta. La spesa pubblica dedicata ai giovani e alla loro istruzione è molto bassa, il fisco e la burocrazia soffocano le iniziative imprenditoriali innovative, l’enorme spesa pensionistica e l’instabilità del lavoro lasciano tra le mani dei giovani una bomba pronta ad esplodere fatta di contributi sempre più onerosi e incertezze economiche. Per capire quali idee fresche girano in Parlamento su questi temi, abbiamo intervistato Niccolò Invidia, un deputato under 30, membro della Commissione Lavoro ed eletto tra le file del Movimento 5 Stelle che, tra tutte le forze politiche, ha portato più giovani a Montecitorio.

Niccolò, come si esce da questa strada in caduta libera per le giovani generazioni? Come si sostengono i loro redditi, la loro competitività e il loro diritto di avere prospettive economiche solide?

Penso che manchi, all’interno della società, la diffusione del concetto e della cultura di generazione. Veniamo da una classe dirigente, quella dei baby boomers, in cui è prevalsa la cultura individualista, che ha portato all’elargizione di benefici che non ci potevamo permettere. Penso che i millennials, su questo, si differenzino dalla vecchia classe dirigente per via del loro approccio concreto ai problemi e per via della maggior sensibilità verso modelli di business win-win, che mirano ad avere un impatto, realtà in cui io monetizzo e tutta la società trae beneficio. Dobbiamo puntare sullo sviluppo di questi modelli in cui tutti guadagnano, come accade nelle benefit corporation. Bisogna ad esempio investire in strumenti fiscali agevolati per le imprese, anche al fine di attrarre idee dall’estero, facilitare il venture capital, che in Italia è ridottissimo, e puntare sull’istruzione per insegnare la cultura dell’impresa e il pensiero creativo. L’istruzione obbligatoria dovrebbe avere meno nozionismo e più insegnamenti che permettano la comprensione delle sfide del presente.

Con il digitale e la gig economy il mercato del lavoro, soprattutto per chi ha tutta la carriera ancora davanti, pone delle sfide nuove e complesse. Come si tutelano il lavoro e i redditi senza chiudersi all’innovazione e senza rifiutare i grandi cambiamenti economici?

Da questo punto di vista stiamo vivendo un grande cambiamento, siamo alla base di una curva esponenziale. Il cambiamento arriverà comunque, per questo c’è bisogno di una classe politica in grado di gestirlo. Credo che ora ci sia. C’è ancora una scarsa conoscenza delle opportunità che la tecnologia e il digitale portano con sé, e per questo si tende ancora a seguire ricette antiche per governare una realtà che non ha precedenti. L’incomprensione e il malgoverno di questi grandi cambiamenti economici e sociali hanno permesso a questi di mostrare i loro effetti dannosi sulla società. Per coglierne le opportunità, invece, è necessario puntare su una disciplina saggia del lavoro del freelancing digitale, che sarà il futuro, facendo sì che rimanga uno strumento flessibile pur garantendo delle tutele. Poi, ora è presto per il reddito universale, ma nel lungo termine, e forse neanche tra così tanto tempo, sarà il modello di welfare vincente. Quando la tecnologia farà gran parte del nostro lavoro, si potrà integrare il reddito derivato dai nuovi lavori “light” con un reddito universale.

Cosa si fa di fronte alla minaccia di lasciare il paese da parte delle grandi imprese del digitale e, in generale, di chi porta grandi investimenti?

E’ fondamentale ridurre la tassazione e intervenire con decisione sulla burocrazia. Tasse e burocrazia intrappolano troppe risorse preziose, che, se liberate, si possono investire anche sul lavoro. Ma non bisogna pensare solo alle grandi società: per esempio, la digitalizzazione delle piccole e medie imprese è un passo fondamentale, su cui siamo ancora troppo indietro.

Il costo del lavoro in Italia è molto alto in relazione ai salari e crea problemi alla competitività degli stessi e alle nuove assunzioni. Quali programmi a lungo termine?

C’è un grande problema alla base di questo, ed è la spesa pensionistica, per cui si pagano contributi molto alti. Qui è difficile trovare una soluzione win-win. Si può però creare un ecosistema di benefici, agendo a livello generale sulle imprese (fisco e burocrazia in primis), per controbilanciare quest’onere e alleggerire il peso che grava sulle aziende nel loro complesso. Per quanto riguarda il tema pensioni sono convinto che, essendo noi ora solo all’inizio della curva esponenziale, tra 30 anni il sistema sarà così diverso che applicare gli stessi parametri di adesso alle pensioni dei giovani è sbagliato. Mi rifiuto di credere di essere inesorabilmente destinati come millennial ad avere 350 euro di pensione verso i 75 anni. Più probabilmente per via degli effetti della tecnologia sul lavoro, anche qui verrà strutturata una sorta di pensione universale di base, integrata dall’assegno che avremo accumulato con il nostro lavoro. Proiettare la situazione presente tra 30-40 anni non dà un quadro che risponderà a realtà.

Ci dici le tue proposte pensate specificamente per i Millennials? Come si potrebbero realizzare e dove pensi di recuperare le risorse?

Innanzitutto la riforma scuola, alla luce delle nuove competenze necessarie per i millennials. Per iniziare, fino all’arrivo di una grande riforma dei corsi nella scuola superiore, una cosa che si può fare senza oneri è quella di agire a livello regionale sul tipo di corsi pomeridiani, per insegnare ai ragazzi a diventare future proof: lingue (almeno 2), programmazione, economia e principi di diritto. Inoltre, in questo contesto di complessità kafkiana del settore pubblico, credo che i nuovi modelli di business del privato debbano farsi avanti: dove il pubblico non riesce ad arrivare nell’insegnare nuove competenze, dovrebbe stringere un’alleanza con i privati e aprirsi ai loro contributi. Un esempio virtuoso in questo senso è quello di Start2Impact. Per finire, credo che una proposta valida, come già accennato, sia quella di intervenire sul lavoro freelance, per mantenerlo uno strumento flessibile e snello ma con un livello dignitoso di tutele e meno accanimento fiscale.

Leonardo Stiz

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