Ogni progresso necessita di una fase di “antitesi” prima di arrivare al suo assestamento, come spiegava Hegel. Ecco perché abbiamo bisogno che Salvini governi: per poterlo archiviare.
Se si è progressisti, riformisti, e magari di sinistra, è facile farsi prendere dallo scoramento in questo periodo storico guardando alla politica, in Italia e altrove nel mondo. Proprio per questo, non esiste un momento più opportuno per sottrarsi al rumore dei proclami di Salvini e agli allarmi dello spread, e tuffarsi invece nella saggezza senza tempo dei filosofi, per trovare conforto e risposte. Uno dei pensieri più utili a questo fine è quello di Georg Wilhelm Friedrich Hegel, il rappresentante più significativo dell’idealismo tedesco.
Il progresso non è mai lineare
Il progresso, sostiene il filosofo di Stoccarda, non è mai lineare, ma frutto di una lunga negoziazione con tutte le parti del corpo sociale. Vi sentite angosciati come uomini e donne del XXI secolo dal dietrofront su “genitore 1 e genitore 2” annunciato dal Ministro dell’Interno? Pensate che quello alla Famiglia, Fontana, sia uscito dal MedioEvo? Convincere il vostro vicino d’ombrellone che i vaccini sono una conquista della nostra evoluzione piuttosto che uno
strumento della lobby Big Pharma umilia il vostro intelletto? Bene, l’unico modo per riuscire a digerire quest’impasse, è pensarla dentro a un movimento della storia. In democrazia la società, nelle sue varie emanazioni, sviluppa anticorpi. Sia alle correnti progressiste che alle forze reazionarie. Può essere che in un dato momento storico un dato Paese non sia sufficientemente pronto – maturo, se vogliamo dargli un giudizio di merito – ad accogliere istanze che altri Paesi, figli di altri Zeitgeist, danno per scontati. È il caso lampante delle Unioni civili, che in Italia hanno preso molto più tempo per essere accettate, e adesso vengono rimesse in discussione.
Ma un equilibrio esiste
Quello su cui Hegel ci rassicura è che, sebbene il processo di stabilizzazione sia lungo e faticoso, e possa durare decenni, un equilibrio esiste. Mai del tutto stabile, per definizione, in quanto perennemente pronto a essere sbilanciato e rimesso in discussione dalle evoluzioni future della società. Ma alla fine della dialettica hegeliana, la contrapposizione tra le forze della tesi e quelle dell’antitesi produce una sintesi meno attaccabile, un compromesso storico che è una mediazione pesata e sensata tra due Weltanschaung (visioni del mondo, in tedesco) contrapposte. Bisogna aver fiducia, ci dice Hegel, e inquadrare quello che vi sembra oggi come un passo indietro nella società per quello che è nella realtà: una rincorsa verso un futuro dove tutti si trovano siedono più comodamente. È sempre successo, d’altronde: a partire dalla Rivoluzione Francese, che ha avuto bisogno del Terrore per esprimere in uscita, come mirabile sintesi, il tris di valori “Liberté, égalité, fraternité” che ancora oggi è visto come la colonna portante di qualsiasi democrazia.
Ruba dal tuo nemico
Non è l’unica lezione che si trova nelle pagine del filosofo tedesco, invero. Come corollario, Hegel ci suggerisce anche di non scartare a priori concetti solo perché vengono dal nostro nemico, ideologico o politico che sia. Come esempio lui porta il nazionalismo, concetto che, estremizzato, ha condotto poi nel corso della storia al delirio nazista. Ma che, scevro dalle sue derive, ci suggerisce solo di essere più orgogliosi e attaccati alle nostre radici. Perché lasciarlo dunque interamente ad appannaggio di un’unica corrente politica? E la stessa cosa vale per la sicurezza, per il Welfare State… tutti concetti bipartisan, e che invece spesso vengono fagocitati da un’unica narrazione. Imparare a rispettare il proprio “nemico” vuol dire anche rubargli alcuni argomenti per declinarli secondo la propria sensibilità.
Il nemico ci è funzionale
La verità è che, in fondo, il nemico ci è davvero funzionale. E in questo periodo storico, aiutati anche dalle bolle dei social network, identificare il nemico come “nemico totale” non è mai stato così facile. Il popolo è spaccato in due, diciamo tre, correnti, che non riescono a trovare nulla di sensato nelle argomentazioni altrui. Non aspettiamo altro che di “sentire la prossima sparata”, perché una parte di noi aspetta con ansia di poter essere “basito”, e cementificare il senso di
appartenenza con una minoranza di persone che chiamiamo “casa”. In altre parole, quello che a una prima disamina può sembrare spaesante, in realtà è anche estremamente rassicurante. Abbiamo un orco contro cui lanciarci, quotidianamente, e a cui ascrivere anche tutti i nostri problemi. Il nemico ci assolve dai nostri doveri.
“E allora il PD?”
Si è discusso a lungo di come ripartire da una casa comune a sinistra. Si è martirizzato il PD e alcuni dei suoi esponenti, analizzando sul tavolo dell’obitorio i resti e le colpe di un Partito che ha sbagliato, ma come d’altronde hanno sbagliato parecchio anche i suoi avversari. Hegel ci può dare una mano non solo nella pars destruens, di cui questo Paese è campione mondiale indiscusso, grazie anche all’eccellenza dei suoi sostenitori sinistrorsi, ma anche in quella
construens. “Bisogna ripartire dalle istituzioni”, dice Hegel. Non lo dice legato al momento odierno, ovviamente, ma come legge generale: le idee che si affermano sono quelle che creano attorno ad esse degli edifici, dei templi, delle scuole. E questo, a prescindere dalla qualità delle idee stesse. Questo è vero dall’anno zero, o meglio: se abbiamo iniziato a contare gli anni dalla nascita di Gesù Cristo, è proprio perché le sue idee sono state poi divulgate non solo tramite i Vangeli, ma nelle chiese cattoliche, a scuola, nelle edicole votive. Il fatto semmai di avere delle buone idee ci mette nella condizione di essere ancora di più eticamente costretti a divulgarle al meglio. Non si riparte solo dai circoli, dunque, ma da una riorganizzazione delle istituzioni fisiche che le renda più coerenti al messaggio che devono veicolare. Solo così, alle prossime elezioni potremo essere sicuri che quella attuale è solo stata una necessaria fase di antitesi, mentre disegniamo una sintesi che assomigli di più alla nostra Weltanschaung. A patto di non perdere la nostra fiducia nella dialettica, e quindi nel futuro del mondo.
Filippo Lubrano