MillennialsMillennials europei di cui nessuno parla: le proteste studentesche in Albania

Vilma Djala Il 5 dicembre, un gruppo di studenti della facoltà di architettura di Tirana, la più grande università albanese, ha dato il via ad una protesta contro il rincaro delle tasse universi...

Vilma Djala

Il 5 dicembre, un gruppo di studenti della facoltà di architettura di Tirana, la più grande università albanese, ha dato il via ad una protesta contro il rincaro delle tasse universitarie. A quasi due settimane dal suo inizio,la protesta non solo non accenna a fermarsi ma bensì ha coinvolto altre facoltà e gli atenei di altre città in Albania, da Elbasan a Durazzo. A dare il via a questa iniziativa è stato l’annuncio di un ulteriore aumento delle tasse universitarie. In Albania, nel corso dell’ultimo decennio, queste tasse sono continuate ad aumentare, trasformando anche servizi che prima erano gratuiti in servizi a pagamento. In questo senso, le università pubbliche del paese sono veri
e propri business privati.

In particolare, a scatenare il dissenso degli studenti è stata l’introduzione di una tassa aggiuntiva per chi decide di sottoporsi nuovamente allo stesso esame per migliorare il proprio voto. In risposta agli studenti, inizialmente, Edi Rama, il primo ministro albanese, ha liquidato gli studenti affermando che erano solo dei ripetenti in cerca di un pretesto alla loro scarsa preparazione. Tuttavia, questa è stata colta come una vera e propria provocazione dagli studenti che, a loro volta, accusano i professori di bocciare facilmente per poter guadagnare soldi extra. Rama ha rincarato la dose, invitando un gruppo ristretto di studenti cosiddetti “eccellenti” ad un talk show su una delle reti più seguite in Albania, TopChannel. Tuttavia, poco dopo si è scoperto che quasi tutti erano individui ufficialmente iscritti al suo partito e quindi il dibattito privo di qualsiasi vero confronto. Il tentativo è quindi stato quello di screditare gli studenti manifestanti facendoli passare per gli ultimi della classe.

Ulteriormente, gli studenti hanno fatto notare che la classe dirigente ignora il disagio degli studenti perché manda i propri figli a studiare all’estero. È questo, per esempio, il caso della figlia del ministro dell’Istruzione, Lindita Nikolla, la cui figlia ha terminato gli studi in Francia e al cui ritorno ha trovato un posto di lavoro nella pubblica amministrazione ad attenderla. Un fatto che fa indignare migliaia di studenti costretti a pagare 1500 euro di retta annuale in un contesto in cui di solito è solo il capo famiglia a portare un reddito a casa, che di solito non supera i 300 euro mensili. Inoltre, rispondendo alla sottile accusa di essere “gli ultimi della classe”, gli studenti hanno denunciato il fatto che molti membri del corpo insegnanti mancano di qualifiche vere e proprio, chiedendo un esame accurato delle loro credenziali. Uno studente albanese, Taulant Muka, laureatosi prima a Cambridge ed in seguito ad Harvard, ha iniziato questo processo dedicando la propria pagina Facebook ed il suo account Instagram per fare i nomi di chi si è macchiato di plagio o di chi addirittura ha dichiarato di avere diplomi e qualifiche che in realtà non possiede. Ed i nomi non sono tardati ad arrivare.

Indignati, i rappresentanti degli studenti hanno redatto una lista di 8 richieste formali al governo, minacciando di non fermarsi fino a quando esse non verranno accolte una ad una. Ad oggi, gli studenti rifiutano qualsiasi negoziato con la ministra Nikolli, di cui per altro chiedono le pronte dimissioni. Domandano l’aumento della spesa pubblica per l’istruzione, il dimezzamento delle tasse e maggiore rappresentanza degli studenti negli organi decisionali degli atenei. Dopo una iniziale reazione di scherno di Rama, il primo ministro si è ritrovato a dovere prendere sul serio questi studenti. Ha così annunciato che l’aumento delle tasse non dipende dal governo ma bensì dalle università stesse, in un rimbalzo di responsabilità che non ha fatto altro che infuriare ulteriormente gli studenti. Molti personaggi pubblici hanno preso una posizione in merito alle proteste. A spiccare su tutti è il rapper Noizy che gode di 1,2 milioni di follower su Instagram ed è notoriamente molto vicino al partito di Rama. Con un post ha incoraggiato pubblicamente gli studenti ad intavolare una negoziazione con il governo. Un paese quindi, l’Albania, in cui i social hanno un peso notevole e in cui diventano vera e propria arena di democrazia, strumento di protesta e ideologia.

Tuttora, è difficile prevedere a che cosa porteranno queste manifestazioni nell’immediato. Se si fa un confronto con il passato però, sono molte le cose di cui essere speranzosi. Diciotto anni fa, proprio nel periodo delle feste, una schiera di studenti a Tirana osò contestare pubblicamente il regime comunista di Hoxha. Appoggiati dalle poche ambasciate straniere presenti allora nella capitale portarono il loro disagio nelle strade e così facendo coinvolsero studenti di altre città e tutta la popolazione in generale. Allora però le contestazioni furono tutt’altro che pacifiche. Al contrario, scatenarono un clima di devastazione totale, con comuni cittadini che si lanciarono nella distruzione delle poche fabbriche esistenti e nel furto di quei beni etichettati dal partito, fino a poco prima, come “beni di lusso”, un esempio su tutti le tv. Un clima vero e proprio di anarchia. Oggi, invece non c’è cenno ad alcun tipo di violenza: gli studenti cantano quasi in coro i loro slogan, continuano a sfoggiare i loro cartelli mentre i ristoranti attorno ed alcuni passanti offrono loro cibo e bevande calde. Altra notevole differenza è che mentre diciotto anni fa la protesta venne prontamente incanalata da certe correnti politiche nazionali e internazionali, oggigiorno gli studenti sembrano resistere alla strumentalizzazione. Questo è un fatto ben raro per un paese in cui di solito si protesta perché è un partito o un altro a suggerirlo. Certo è che la gioventù albanese sembra sempre più restia a vedere nell’emigrazione una soluzione ai propri problemi. Questa protesta segna un cambio di passo, a prescindere dalla piega che essa prenderà. Testimonia infatti
che una società che è abituata ad affermare che “questo paese non si farà mai”, assuefatta ai soprusi e alla mancanza di cambiamento, ha acquisito abbastanza fiducia nella propria voce per riversarsi nelle strade. Per cui, è si presto per predire che piega prenderà tutto questo tumulto. Ma è tuttavia chiaro che la democrazia albanese, dopo diciotto anni, sembra stia affrontando un vero e proprio esame di maturità.

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