Cosa può fare l’azienda, che risente dell’aumento del costo delle materie prime e che non ha il potere di fissare il prezzo, visto che i suoi prodotti non godono di un premium price/margine suppletivo, per uscire da questa impasse? Dopo tutto si può far molto con 1,4 miliardi di euro in cassa.
Innanzitutto, una panoramica dei problemi. È probabile che un aumento nei costi delle materie prime determini una caduta del margine operativo lordo (mol o ebitda) per il 2010 e il 2011. L’effetto negativo sull’ebitda nel 2010 è stato pari a circa 60 milioni di euro, ed è probabile che un effetto analogo si ripeta anche nel 2011. Danone, per esempio, prevede per il 2011 un ulteriore aumento del 6-9% dei costi per le materie prime e per il confezionamento dei suoi prodotti. Dunque, è verosimile che il mol di Parmalat torni a essere pari o inferiore all’8%, come è stato l’ultima volta che i prezzi delle materie prime sono aumentati in misura significativa, nel 2008. Ciò significa una caduta di oltre il 15% nell’ebitda a partire dal 2009.
Il margine di Parmalat è già modesto, pari a circa il 9% in un anno positivo contro al 20% di Danone, dal momento che i consumatori non riconoscono un premium price al prodotto Parmalat. Sebbene io pensi che Activia sia una perdita di tempo e di denaro, se la gente è pronta a pagare di più per i benefici aggiuntivi reclamizzati, Danone godrà di conseguenza di margini più elevati. Danone, infatti, non è che prenda semplicemente il latte non trattato e ne fa yogurt, anzi. Ci mette qualcosa in più per produrre Activia. Parmalat, con i suoi prodotti meno attraenti e meno differenziati, deve accettare un prezzo che si avvicina di più a quello del latte. Per dare un’idea di quanto Danone aggiunga al valore delle materie prime, nel 2009 il costo dei beni prodotti da Danone è stato pari al 45% del proprio fatturato, mentre la percentuale per Parmalat è stata del 60 per cento.
Dov’è che possono quindi sperare di migliorare? Il primo punto è che, sebbene Parmalat sia un’azienda italiana, l’Italia rappresenta solamente il 25% delle proprie vendite. Il suo più grande mercato è invece rappresentato dal Canada e il terzo dall’Australia, che insieme costituiscono oltre il 50% delle vendite di Parmalat. Seguono l’Africa e l’America Latina con un ulteriore apporto del 20 per cento. Quindi, se, come è probabile, non si registrasse alcun incremento economico o demografico in Italia, l’azienda dovrebbe comunque poter trarre beneficio dalla crescita demografica ed economica in queste aree, anche se continuasse a vendere solamente prodotti con un margine minore. Inoltre, se queste economie continuano a migliorare, le valute potrebbero continuare a rafforzarsi nei confronti dell’euro. Ciò ha determinato, nei primi nove mesi del 2010, un incremento di fatturato pari a 300 milioni.
L’azienda dispone di 1,4 miliardi di cassa inutilizzata. Il top management di Parmalat dovrebbe puntare sulla ricerca più che sull’innovazione di prodotto. Non creare un “nuovo Activia” ma innovare il processo, trovare cioè un modo più efficiente di produrre, trasportare e distribuire i prodotti. Fin troppe persone oggi pensano che una nuova gamma di prodotti sia la risposta ai problemi di un’azienda orientata al consumatore. Tanto più che è una strategia che ha già funzionato negli ultimi dieci anni. Oggi, però, è troppo tardi per inseguire questo modello, per il semplice fatto che contrasta con lo scenario europeo che ci è dato di prevedere. È improbabile che l’Europa possa crescere: la vita sarà più difficile dal momento che il resto del mondo competerà per le risorse.
Sarà pertanto fondamentale rendere la produzione più efficiente, ridurre i consumi di energia, di materiale, e gli sprechi. Parmalat dovrebbe perciò passare in rassegna l’intera catena produttiva, dall’inizio alla fine, alla ricerca di un possibile modo per consumare meno energia e meno materie prime, sprecare meno e utilizzare gli scarti, riciclandoli invece che buttarli via, cercando così di modificare i propri prodotti in modo tale che il consumatore sprechi di meno. Dopo tutto, bisogna ringraziare soprattutto Parmalat per l’impiego e la diffusione del latte UHT, perché ha aiutato il consumatore che viveva nelle zone climatiche più calde a sprecare meno latte. Concentrare i propri investimenti nell’aiutare la gente a risparmiare, piuttosto che indurla a “consumare” sarà cruciale.
*analista indipendente