Derivati, Unicredit ritorna in Procura

Derivati, Unicredit ritorna in Procura

I derivati ritornano, ancora una volta, nella storia di Unicredit. E per l’istituto di Piazza Cordusio non è mai un bel ritorno, anche perché anche questa volta di mezzo ci sono le indagini di una procura della Repubblica. Secondo il settimanale L’Espresso, Alessandro Profumo sarebbe stato indagato dal Tribunale di Bari per i prodotti venduti dal 1998 in poi dalla banca a Divania, società pugliese fallita proprio a causa di questi strumenti finanziari. Con l’ex amministratore delegato della prima banca italiana, sono indagati per associazione per delinquere, estorsione, truffa e appropriazione indebita altri 27 dirigenti dell’istituto di credito. La filiale barese di Unicredit ha fatto rinegoziare 206 volte i derivati a Divania nell’arco di pochi anni. Il responsabile della divisione derivati di Piazza Cordusio all’epoca dei fatti, Pietro Modiano, figura invece tra i testimoni.

Il caso esplode a seguito della crisi finanziaria nata nell’estate 2007. La società pugliese Divania, un fatturato da 65 milioni di euro nel 2003, guidata da Francesco Saverio Parisi, viene travolta dai derivati. Secondo quanto ricostruito dall’accusa, UniCredit avrebbe venduto derivati a Divania causandole perdite per 219 milioni di euro, più 61 milioni facenti riferimento agli interessi maturati nel corso degli anni. Parisi ha più volte ribadito, anche nei colloqui con gli inquirenti, di essere stato obbligato a sottoscrivere contratti di Interest rate swap (Irs) a partire dal 2000. È giusto però ricordare che tali prodotti ampiamente rischiosi perché basati sulle fluttuazioni dei tassi d’interesse o di cambio, come nel caso Divania.

«Un dirigente della banca mi confidò che le filiali avevano ricevuto l’ordine di “fare budget coi derivati” e che mi conveniva accettare per non compromettere i normali fidi», ha detto Parisi. Del resto, secondo la sua versione dei fatti, «i funzionari dicevano che non avrei corso rischi, perché loro avrebbero azzerato ogni perdita con nuovi contratti». La realtà è stata differente. La valutazione mark-to-market di questi derivati ha compromesso la vita societaria di Divania, che si è ritrovata sul groppone quasi 280 milioni di euro di passività. Sempre secondo l’accusa, infatti, la banca avrebbe accettato di cancellare i precedenti derivati, in costante perdita, solo a fronte di nuove sottoscrizioni con un valore nozionale sempre maggiore, esponendosi cioè a rischi ancora più elevati. È stato calcolato che sono state effettuate 206 rinegoziazioni sui derivati. L’unica via per Parisi è stata quella del fallimento.

C’è poi la versione di UniCredit. Forte della firma di Parisi, che secondo il Regolamento Consob 11522/98, si era autocertificato come “operatore qualificato”, la banca non ha ritenuto di avere responsabilità. Tale informativa, tuttavia, spesso viene fatta firmare senza neanche farla leggere interamente all’interessato. Proprio questa è una delle più ampie lacune della normativa finanziaria italiana. Inoltre, Piazza Cordusio ha spiegato, argomentando con diverse analisi riportate agli atti, che «non era sostenibile che i risultati dell’attività in derivati abbiano influenzato l’attività industriale o i risultati economici» di Divania.

La struttura di UniCredit fino al 2003 prevedeva che la sezione di ingegneria finanziaria e quella di vendita fossero separate. A capo della prima, cioè la “fabbrica” dei derivati, c’era Modiano, che però non si occupava di promozione degli stessi prodotti finanziari che faceva nascere sotto la sua divisione. Solo dal 2003 Modiano ha preso la responsabilità di quest’ultimo segmento. Nella macchina dietro agli interest rate swap c’erano anche Luca Fornoni e Davide Mereghetti, entrambi indagati. A differenza dei due giovani banchieri, Modiano non è stato indagato dal Tribunale di Bari. Se i derivati sono nati sotto la sua ala, perché lui non è nel registro degli indagati? Forse perché le responsabilità rispetto alle quali l’accusa si sente più “sicura” stanno in capo alla filiale e ai bankers che operativamente gestivano la macchina dei derivati. 

A prova dell’impianto accusatorio ci sono vari video, filmati da Parisi durante gli incontri coi dirigenti di UniCredit, pubblicati dall’Espresso nel 2008. Il Tribunale di Bari li ha acquisiti come prove, ma c’è un aspetto che non torna. Ogni singola filiale, negli anni precedenti al terremoto finanziario del 2007, aveva un incentivo indiretto a vendere derivati. Questo perché la particolare struttura degli interest rate swap garantiva entrate alla filiale a fronte di un esborso quasi irrilevante. Dalle carte agli atti emerge la posizione dei dirigenti locali di UniCredit. Più si vendevano derivati, più il budget della filiale era elevato, più aumentavano le possibilità di una promozione. E secondo quanto risulta a Linkiesta, sul bilancio della filiale in questione, il peso dei derivati è cresciuto del 25% nell’arco di cinque anni.

Devono aver preso ispirazione da Fornoni e Mereghetti che, nel dicembre 2001, lodavano i derivati Irs come la nuova frontiera del finanziamento per gli enti pubblici e le piccole e medie imprese. Erano gli anni d’oro di CorporateLab, la divisione di UniCredit volta a consigliare i clienti su questi prodotti. Chissà che dai derivati non siano rimasti affascinati, oltre agli imprenditori, anche i direttori di filiale. 

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