«Non sapete cosa state facendo, i Cocos davvero pericolosi». Con queste parole il numero uno di Ubs, Oswald Grübel, ha scosso la comunità finanziaria internazionale durante un evento alla Bank of England, alzandosi dalla platea e attaccando pubblicamente gli altri banchieri presenti.
Anno nuovo, nuovi veleni finanziari, deve aver pensato il capo del colosso elvetico. Si tratta dei Cocos, o contingent convertible capitals bond, obbligazioni convertibili in azioni se il capitale di vigilanza scende sotto i parametri di Basilea III. Per l’agenza di rating Standard & Poor’s ne saranno emessi 1.000 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni, ma intanto è già iniziata la corsa all’uso. Credit Suisse lancerà 30 miliardi di dollari in Cocos lungo tutto il 2011. Lloyds ne ha emessi per 11,6 miliardi nello scorso novembre. Santander sta dirottando asset dai suoi fondi satellite per la creazione di Cocos. Sia UniCredit sia Intesa Sanpaolo ne hanno lanciati di simili nei mesi scorsi, ancora prima degli altri istituti di credito. Per qualcuno si tratta di un efficiente modello per la prevenzione del rischio finanziario. Per molti è solo l’ennesima prova che il fallimento di Lehman Brothers non ha insegnato nulla al mondo della finanza.
Cosa sono e come funzionano. I Cocos sono obbligazioni ibride bancarie come molte altre. Promettono elevati rendimenti (oltre il 10 per cento annuo), sono accessibili prevalentemente agli investitori istituzionali per via delle alte fee d’ingresso, sono convertibili. Proprio in quest’ultimo punto risiede la peculiarità dei Cocos. Sono infatti trasformabili in capitale ordinario se il coefficiente Tier 1 (capitale di base) cala sotto il 7 per cento fissato da Basilea III. L’obbligazionista diventa quindi azionista, con tutti i rischi del caso. Niente più cedola, ma dividendo. Al loro interno, qualsiasi tipo di credito o prestito, che poi vengono impacchettati come nel caso delle Collateralized debt obligation (Cdo), fra i derivati col più alto grado di rischiosità intrinseca.
Inoltre, dato che i Cocos sono uno strumento per investitori istituzionali quali banche, hedge fund e fondi pensione, potrebbero crearsi non pochi problemi di governance. Prendiamo Deutsche Bank e Royal Bank of Scotland: la prima compra Cocos della seconda, che poi vede il proprio Tier 1 crollare al 5 per cento. Scatta la trasformazione e con essa muta lo status di Deutsche Bank, che si ritrova a essere azionista di Rbs, con tutti i rischi del caso.
Se un istituto di credito si vede costretto a convertire i Cocos significa che le sue prospettive di breve termine non sono positive e che le fluttuazioni sui mercati finanziari potrebbero essere elevate. Linkiesta ha chiesto a Roger Doig, analista di Schroders, quale potrebbe essere la reazione degli operatori in caso di uso dei Cocos per ricapitalizzarsi: «Non sarebbe un segnale di forza finanziaria, soprattutto in un clima di elevata incertezza come quello che ci sarà nel 2011». Per Doig «questi prodotti potrebbero essere utili solo in caso di mercato bullish, in fase di ripresa economica, non in una congiuntura volatile e instabile come questa».
Quanti saranno e come saranno composti. Secondo Standard & Poor’s saranno emessi oltre mille miliardi di dollari di Cocos nei prossimi dieci anni. Tanto basta per capire quanto le banche stiano spingendo sull’acceleratore per trovare asset da inserire all’interno di questi bond. Così sta facendo il Credit Suisse, che da gennaio ha cominciato a emettere parte dei circa 30 miliardi di dollari di Cocos che lancerà nel 2011. Ma quali asset saranno inseriti in questi bond? Soprattutto crediti deteriorati o inesigibili. Nelle ultime settimane il colosso bancario elvetico ha infatti deciso di vendere ad Apollo Management, un fondo partecipato al 51 per cento, prestiti commerciali di Danimarca, Francia, Germania e Svizzera per 1,2 miliardi di euro. Questi asset però due anni fa valevano 2,5 miliardi di euro. Credit Suisse li ha quindi ceduti ad Apollo con una svalutazione del 58 per cento. Ma il fondo in questione sarà proprio uno di quelli che farà da advisor all’istituto di credito svizzero nel collocamento dei Cocos.
Una mossa simile è stata già fatta nello scorso novembre dal Lloyds britannico. Dopo aver spostato crediti inesigibili per 5 miliardi di dollari in un fondo satellite, ha emesso quasi 12 miliardi di dollari di Cocos. E analogo sembra essere il comportamento della spagnola Santander. Il fondo Ventura, di proprietà esclusiva della banca di Emilio Botin, ha appena ricevuto dal Santander circa 6 miliardi di euro di crediti immobiliari deteriorati. E Ventura, come nel caso di Apollo, sarà uno dei veicoli di vendita dei Cocos per Santander. Difficile immaginare che gli asset del real estate iberico, in continuo deprezzamento, possano essere fondamentali nella ricapitalizzazione di una banca zombie come quella di Botin. Invece potrebbero essere una mina vagante per tutti gli investitori alla ricerca di un rendimento elevato che, dall’oggi al domani, potrebbero ritrovarsi con in portafoglio solo spazzatura.
L’Italia e i Cocos. L’ultimo rapporto di Barclays su questi strumenti finanziari non è positivo per il nostro Paese. Secondo la banca britannica sono utilizzati Cocos per 23,7 miliardi di euro nei prossimi due anni, il tutto solo per le prime quattro istituzioni bancarie. Per Intesa Sanpaolo l’attesa è di emissioni per 7,9 miliardi di euro, mentre per UniCredit la quota dovrebbe attestarsi, secondo le previsioni di BarCap, a 7,4 miliardi. Meglio non va per Monte dei Paschi di Siena e Ubi. Per la banca guidata da Giuseppe Mussari, Barclays afferma che serviranno 4,8 miliardi di euro di Cocos. Del resto, continuano le voci di un imminente aumento di capitale per Rocca Salimbeni. Ubi banca, invece, per gli analisti inglesi occorreranno circa 3,6 miliardi di euro in Cocos.
In realtà l’Italia è sempre stata molto attiva sotto questo segmento del finanziamento. In luglio UniCredit ha lanciato un bond ibrido Tier 1 con tasso fisso pari a 9,375 per cento. Uno modo suggestivo per definire un Coco bond, come fa notare il report di BarCap. Lo stesso ha fatto Intesa Sanpaolo, che il 23 settembre scorso ha emesso un bond ibrido, con cedola al 9,5%, del valore di un miliardo di euro. Anche in questo caso si è trattato di un Coco bond, anche se di una particolare sottoclasse, ancora più articolata rispetto a quella utilizzata dal Credit Suisse. L’Italia quindi si è dimostrata ancora più all’avanguardia di tanti altri Paesi.
Quali i rischi. Secondo l’Association for financial markets in Europe (Afme), la lobby dei bankers europei, non ci sono particolari rischi legati all’emissione dei Cocos. In un report dello scorso settembre, “Prevention and cure: securing financial stability after the crisis”, ha evidenziato come «la conversione dei capitali di contingenza è stata più volte utilizzata lungo la crisi, a esempio da Deutsche Bank, Lloyds, Rabobank e UniCredit, senza particolari problemi». Anche il presidente della Bundesbank Axel Weber si è detto favorevole all’utilizzo dei Cocos. «Sembra un ottimo modo per aumentare la prevenzione finanziaria: da un lato le banche si ricapitalizzano autonomamente, dall’altro gli Stati non devono più intervenire in aiuto del sistema bancario».
Come fa notare anche Jonathan Rosenthal sull’Economist, oltre ai problemi di governance in caso di conversione dei Cocos, c’è di più. Essendo assai precarie le classi di asset contenute nei bond, l’istituto di credito si troverebbe nel capitale ordinario dei crediti in costante deterioramento. «L’effetto domino sarebbe devastante – fa notare a Linkiesta Roger Burton, managing director di Tradeweb – specie per le banche già in condizioni poco floride come Deutsche Bank o Santander». Il rischio maggiore è quindi quello di una nuova Lehman Brothers? Burton non ha dubbi: «Si, ma all’ennesima potenza, date le interconnessioni bancarie sempre più strette che prodotti finanziari come questi stanno generando». Forse non sarà così, ma il pericolo che coi Cocos si stiano creando una serie di banche zombie è sempre più concreto. Con buona pace del nuovo corso della finanza globale tanto desiderato dai governanti.