È ancora possibile ridere delle barzellette del Cavaliere?

È ancora possibile ridere delle barzellette del Cavaliere?

Sembrerebbe di capire, leggendo qua e là, che circola tra noi un nuovo Berlusconi, un signore sulla settantina che, dimentico dei suoi doveri istituzionali, adesso va in giro per la penisola a far ridere i suoi connazionali, raccontando loro barzellette sconce. Per la conoscenza che abbiamo del soggetto, ahinoi piuttosto concreta, vogliamo avvertire questi analisti da «La sai l’ultima?» che il medesimo è una quarantina d’anni che si riproduce (qui parliamo sempre di barzellette) sul piano inclinato di un umorismo vagamente patetico e che costringe amici, parenti ma anche sconosciuti incontrati per caso, alla punizione massima del raccontino cochon. 

Questa, per esempio, rivelatami da un suo sodale qualche ora fa, è solo una delle ultime barzellettine: «Commissionano un sondaggio sul Presidente del Consiglio tra le donne di età compresa tra i venti e i trent’anni. La domanda è: passereste una notte con Silvio Berlusconi? Il 36 per cento ha risposto: “Magari!”, il 64%: “Ancora?”».

Come vedete, il tema è sempre e invariabilmente il rapporto tra sesso e lui – un po’ alla Moravia – qui declinato almeno con un filo in più di leggerezza.
Se però una persona intelligente e sensibile come Francesco Merlo introduce su Repubblica una variabile delicata come l’analisi dei comportamenti di chi assiste alle sue prodezze, per concludere che – se ti divertono, se ridi (e se ne ridi?) – sei anche peggio di lui, beh allora la faccenda ci coinvolge tutti e va forse esaminata. Scrive Merlo: «Tutto è stato detto su Berlusconi che racconta barzellette, niente su quelli che ridono. Sono servi? Sono a libro paga? Sono sdoppiati? E se fosse peggio?» E ancora: «Ogni volta, colpiti dalla scurrilità che è simpatia andata a male, dalla fuga nell’oscenità persino mimata che è la cifra degli spettacoli prolungati oltre la fine, abbiamo pensato che peggio di lui ci sono quelli che ridono».

La questione è talmente seria, implicando anche le libertà personali di fare del nostro riso ciò che vogliamo, che retrodaterei il tutto alle origini della politica moderna, a quel rapporto che lega ogni esponente politico ai propri popoli di riferimento. Per chiedervi: vi sembrano normali, intellettualmente liberi da condizionamenti, eticamente proponibili, tutti gli applausi e gli entusiasmi che vengono rivolti – acriticamente – ai leader politici dai cittadini-tifosi che assistono a un comizio, un convegno, una qualsiasi occasione di confronto o non c’è, in nuce, la radice di un asservimento culturale?

Per tappe progressive, si potrebbe anche concludere che chi partecipa a un evento di questo tipo o anche del terzo tipo (le barzellette del premier), ha tutto il diritto di esercitare il proprio asservimento come meglio crede, nell’idea che il senso di appartenenza politica giustifica persino una perdita di autonomia intellettuale, sino al completo e volontario appiattimento su posizioni altrui. Semplificando: ridere per Berlusconi è peggio che ridere per Cesa?

Pare ormai scomparsa dai ragionamenti la zona franca liberale, nel nostro caso quel territorio verdeggiante in cui seppellire l’ascia di una guerra infinita e tentare di battere un’altra via. Per riprendere il tema caro a Merlo, e cioè quale atteggiamento tenere con Berlusconi e più fiero è meglio è, si dovrà anche considerare che questi lunghissimi diciassette anni del Cav. non potevano essere risolti con la reazione monocorde di un’ossessione, pena il ricovero (nostro) in una clinica psichiatrica. Per cui ci siamo arrangiati con gli strumenti a disposizione, variamente intesi: ora l’ironia, ora il disprezzo, magari anche il divertimento, per poi tornare a una sincera indignazione. Insomma una gamma di colori che comprendesse anche le sfumature, in modo da contrapporgli uno stato di serenità personale anche più favorevole all’esercizio di un mestiere difficile come quello del giornalista che si occupa di Berlusconi.

Personalmente, ho visto troppi giornalisti calare le mutande con il Cav. per poterne ridere. Mentre, alle volte – sì lo confesso – io ho riso di lui.  

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