C’è chi propone la creazione di un apposito ordine professionale, chi si preoccupa di orari e norme igieniche. Chi vorrebbe chiudere le strade e chi riaprire le case chiuse. Qualcuno ha persino pensato di contrastare la crisi economica tassando servizi e prestazioni.
Il tema – anzi, il mestiere – è antico come il mondo. Prostituzione, lenocinio, meretricio: comunque lo si voglia chiamare, in Parlamento è difficile trovare un argomento più coinvolgente. Tra Camera e Senato sono sessantasei i progetti di legge presentati per regolamentare la materia. Un’enormità. In tema di fede e diritti religiosi – tanto per fare un esempio – ne sono stati depositati giusto una ventina. Deputati e senatori preferiscono dibattere su escort e gigolò. In nome del sesso a pagamento si dividono le coalizioni e nascono nuove alleanze. Da una parte i proibizionisti, dall’altra i libertini.
I più garantisti, ovviamente, sono i radicali Donatella Poretti e Marco Perduca. Il loro disegno di legge parte da un principio: «governare i fenomeni sociali è più efficace che proibirli». Di conseguenza, la prostituzione deve essere riconosciuta una attività lavorativa come un’altra. Una professione in cui si offrono «servizi sessuali regolarmente remunerati e i cui profitti saranno soggetti a prelievo fiscale».
Posizione agli antipodi per il deputato del Pdl Riccardo De Corato. «È tempo – spiega – di passare da una politica della tolleranza a una politica della sanzione». In poche parole, di introdurre il divieto di prostituzione nei luoghi pubblici. Ancora più rigoroso il collega di partito Tommaso Foti: «Oggi si tratta di promuovere una iniziativa legislativa che combatta seriamente la prostituzione attraverso norme di tipo repressivo». La posizione più dura è quella del Governo. Nel disegno di legge a firma del ministro per le Pari opportunità Mara Carfagna, si ipotizza addirittura il carcere: «Chiunque esercita la prostituzione ovvero invita ad avvalersene in luogo pubblico o aperto al pubblico è punito con l’arresto da cinque a quindici giorni».
In molti chiedono di abolire la legge Merlin e riaprire i battenti delle case chiuse. Un’ipotesi che la senatrice democrat Silvia Della Monica non vuole nemmeno prendere in considerazione. Relegare l’esercizio della prostituzione «nel sommerso degli appartamenti» finirebbe per incrementare i reati legati allo sfruttamento della persona. A questo punto meglio disciplinare il meretricio in strada. Purché a debita distanza da «istituti scolastici, luoghi di culto, ospedali, cliniche o istituti residenziali di cura».
E poi, come chiarisce l’ex prefetto di Roma – oggi senatore dell’Udc – Achille Serra, togliere dalle strade il mestiere più antico del mondo è un’impresa impossibile. In giro ci sono troppe prostitute («70mila in Italia, senza contare transessuali e travestiti») per sistemarle tutte in casa. Meglio delimitare l’attività in specifici quartieri. Magari in «zone defilate e circoscritte». Oppure nell’ambito di «aree industriali dismesse», come chiede la leghista Manuela Dal Lago.
Una sorta di quartieri a luci rosse. Che nel ddl della Pd Vittoria Franco dovranno essere individuati direttamente da ogni comune. Ai sindaci spetteranno anche tutte le decisioni in merito a «orari e modalità di utilizzo». Per tutelare la sicurezza di clienti e prostitute, la parlamentare propone di schierare corpi di polizia particolari. A composizione, chissà perché, «prevalentemente femminile». Una task force del meretricio, rigorosamente in rosa.
Tempi duri per chi preferisce ricevere clienti in casa. Il finiano Enzo Raisi introduce una lunga trafila burocratica per gli/le aspiranti escort. Chiunque vuole vendere il proprio corpo in luoghi privati dovrà presentare apposita domanda al questore. In allegato i documenti della Asl competente che certifichino il proprio stato di salute e l’idoneità igienico sanitaria dei locali dove si vuole aprire l’attività. Se tutto è in regola – come ipotizza il ddl di Alessandra Mussolini – il questore rilascerà un’apposita ricevuta. Unica avvertenza: attenzione ai rumori molesti. Il Pdl De Corato ha previsto l’introduzione di divieto di prostituzione persino nei regolamenti condominiali.
Importantissimo il tema degli accertamenti sanitari. Quasi tutti i disegni di legge ipotizzano l’intervento diretto delle aziende sanitarie locali. De Corato considera i controlli opportuni «senza tuttavia renderli obbligatori per legge». Il leghista Paolo Franco propone la visita di un medico ogni sei mesi. La collega di partito Manuela Dal Lago ne vorrebbe una all’anno. Il futurista Raisi supera tutti: un controllo sanitario ogni tre mesi, tanto per togliersi ogni pensiero. In ogni caso, per evitare il diffondersi di «epidemie mortali», il deputato Piergiorgio Stiffoni consiglia di pagare la prestazione prima dell’atto sessuale. «In tal modo – spiega – sarà possibile accertare in anticipo, mediante la visione di un apposito certificato medico, che non vi siano pericoli di infezioni nell’effettuazione delle prestazioni».
In tempo di par condicio, non potevano mancare i riferimenti alla pubblicità. Enzo Raisi è tranchant: «È vietata qualsiasi forma di pubblicità in favore della prostituzione e di persone che la esercitano». Per il Pdl Enrico Musso, invece, passeggiatori e passeggiatrici possono farsi conoscere «esclusivamente attraverso la stampa e i sistemi informatici».
Ma come essere certi della professionalità di chi si incontra? La Pd Delia Murer ha risolto il problema introducendo l’obbligo per tutte le prostitute di iscrizione ad appositi albi. Un po’ come medici e ingegneri (e chissà se anche in questo caso sarà necessario il superamento di un esame di abilitazione).