Mi consentoA Napoli i riformisti aprono il dibattito, De Magistris vola

A Napoli i riformisti aprono il dibattito, De Magistris vola

Quando il dibattito comincia ancor prima dello spoglio vuol dire che è mal’acqua. Che lo schiaffo preso in pieno volto fa male. E mentre lui, Luigi De Magistris, stringe mani e va alla radio – Un giorno da pecora, Radiodue – ad associare i nomi dei fiori ai suoi nemici (Berlusconi un crisantemo, Mastella una pianta grassa, Lettieri un cardone, «cioè quel tipo che si forma quando la pianta non cresce molto bene»), dall’altra parte della barricata si leccano le ferite.

Il grido di dolore lo ha lanciato Antonio Polito dalle colonne del Corriere della Sera in un accorato articolo intitolato “I convertiti alla corte del Masaniello napoletano”. Dove, inutile specificarlo, il Masaniello è l’uomo nuovo di queste elezioni, il favorito nella corsa a sindaco di Napoli dopo aver travolto l’oscuro e sconosciuto candidato del Pd Morcone.

È lungo l’elenco dei convertiti stilato dal fondatore del Riformista: da Gianfranco Fini a Ciriaco De Mita, da Clemente Mastella ad Antonio D’Amato, al regista Francesco Rosi, fino al nome più doloroso, quell’Umberto Ranieri, da sempre considerato un figlioccio di Giorgio Napolitano e tra gli ultimi esponenti della tradizione dei miglioristi napoletani. Si è dimenticato D’Alema, che pure in un’intervista al Mattino ha invitato a votare De Magistris senza se e senza ma. Può capitare. 

Certo che faceva un certo effetto ieri mattina a Napoli vedere Ranieri incoronare De Magistris e anticipare il gesto qualche giorno prima in un’intervista al Corriere. Lo stesso Emanuele Macaluso – che Polito definisce più in grado di Ranieri di annusare l’aria del Quirinale – non ha gradito, anche se voterebbe l’ex pm ma a naso turato.  

È innegabilmente vero che tra tutte le vittime di De Magistris il più masochista sia il Pd. E che a Napoli si sta conducendo un esperimento politico di valore nazionale: utilizzare i voti dei riformisti per togliere ai riformisti la leadership dell’opposizione. L’analisi è ineccepibile, direbbero i comunisti di una volta. Quel che manca, probabilmente, è la ricerca delle cause di una disfatta  politica. Che cos’è oggi il riformismo? Come si declina nella vita politica quotidiana? Probabilmente in maniera piuttosto distante dalle tesi di Turati, e cioè come un movimento elitario, quasi snobistico, provocatorio, affascinante se vogliamo, ma minoritario, profondamente minoritario, incapace di parlare non dico alle masse ma alla stragrande maggioranza dei cittadini. Che qui, dopo diciassette anni di amministrazione targata Pds-Pd, si è ritrovata sommersa da cumuli di rifiuti. 

E in attesa che il dibattito si arricchisca non si può non sottolineare che un altro riformista (o ex), Claudio Velardi, che del quotidiano arancione è stato ideatore ed editore, oggi fa campagna elettorale per il candidato del Pdl Gianni Lettieri, anche se con una certa dose di insofferenza ai vertici locali di Forza Italia.

Ma il confronto a sinistra resta comunque roba da salotti e quotidiani. Sempre che non decida di parlare Antonio Bassolino. Per ora nei bar e per strada, a parte l’eterna immondizia, l’argomento è un altro. Il Presidente (De Laurentiis) vorrebbe licenziare Mazzarri perché avrebbe osato pensare di andare alla Juventus. Qua sì che il dibattito ferve. Il riformismo può attendere.  

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