Gli indignati a Roma sono quattro gatti e tutti spagnoli

Gli indignati a Roma sono quattro gatti e tutti spagnoli

ROMA – «Ho letto della protesta su Facebook e sono venuto. Pensavo fosse una manifestazione spontanea, una sorta di gemellaggio con la “primavera spagnola”. Ma di italiani non ce ne sono mica tanti». Ai margini della folla che si è radunata sotto stasera l’ambasciata di Spagna il ragazzo non nasconde la propria incredulità. «Forse gli organizzatori avrebbero potuto coinvolgere un po’ più gente» si lamenta. Un trentenne vicino a lui lo incalza: «Nun è questo – l’accento lo tradisce – È che gli italiani se so stufati de scenne in piazza. Il popolo viola, i grillini, mo questi. Ma quando si fa il salto di qualità? Quando iniziamo coi boicottaggi, con le occupazioni delle autostrade?». Passano pochi minuti e i due se ne vanno.

La rivoluzione degli indignados non è roba per italiani. Nemmeno a Roma, in piazza di Spagna. A darsi appuntamento nel centro della capitale per «solidarietà con i manifestanti di Madrid», quelli del movimento M-15, sono pochi giovani spagnoli. Saranno un centinaio, forse poco di più. I cartelli che hanno portato rivelano la provenienza. «Yo te voto, yo te pago, yo decido». E ancora «La democracia esta secuestrada por la banca». Qualcuno ha preferito l’inglese: «Spanish step to real democracy now» si legge su un pezzo di cartone. Le bandiere dei movimenti italiani non ci sono. La Rete viola, che aveva promesso di partecipare, non si vede. Un solo leader politico si aggira tra i giovani manifestanti. È Marco Ferrando, il volto noto del Partito comunista dei lavoratori. Defilata sventola una bandiera della pace.

Dopo qualche minuto si avvicinano alcuni agenti di polizia in borghese. Discutono con un ragazzo, sembra il leader della manifestazione. Felpa con il cappuccio, capelli rasati e pizzetto. «In una democrazia le regole vanno rispettate» gli spiegano. Lui annuisce. Poi spiega che vogliono solo andare sulla scalinata di piazza di Spagna e sedersi «per fare una piccola assemblea, parlare un po’». Scocciati, i due acconsentono. Il piccolo corteo si muove – sono le 20.30 – in pochi attimi raggiunge la scalinata. Un nutrito gruppo di fotografi si avvicina, inizia a scattare. I ragazzi si mettono in posa, lanciano slogan, alzano i cartelli. Ai flash dei fotografi si uniscono quelli dei tanti turisti. Nel frattempo arrivano in piazza sei carabinieri. Si allineano lungo la fontana della barcaccia.

I manifestanti salgono verso Trinità dei Monti. Tantissimi cori in spagnolo, in mezzo anche qualche slogan in italiano. «Non ci guardare, vieni con noi» strillano ai curiosi. E ancora: «Senza casa, senza lavoro, senza paura». Dall’accento si capisce che a cantare sono sempre i ragazzi stranieri. Dopo poco i turisti che si erano avvicinati incuriositi si allontanano. Tra i giovani restano alcuni extracomunitari che cercano di vendere lattine di birra e giocattoli made in China.

I ragazzi si siedono. Parlano a turno, sempre in spagnolo. A un certo punto una ragazza spiega: «Il nostro è un movimento di solidarietà con i manifestanti in Spagna. Ma se gli italiani vogliono partecipare sono i benvenuti. Nei prossimi giorni potete chiamare anche i vostri amici». Una giornalista sale e scende la scalinata, cameraman al seguito e microfono in mano, cercando qualcuno da intervistare. Dopo poco bracca una coppia di ventenni. «Ci spiegate quali sono i vostri problemi, le vostre richieste?». I due sorridono. «Siamo spagnoli -. balbettano in un italiano stentato – non parliamo la sua lingua». 

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