BRUXELLES – Benvenuti alla prima missione virtuale dell’Unione Europea. O, come qualche maligno l’ha già ribattezzata, la missione “pesce d’aprile”. Parliamo della “Eufor Libya”, varata dai Ventisette (Danimarca esclusa) – per ironia della sorta proprio il primo di aprile – con tanto di quartier generale a Roma e di comandante italiano, l’ammiraglio Claudio Gaudiosi. Una missione che in sostanza dovrebbe dare sostegno militare, con un migliaio di soldati sul terreno, alle missioni umanitarie in Libia, a cominciare da Misurata.
Per esser più precisi, come si legge nel comunicato ufficiale del Consiglio Ue, Eufor Libya dovrà primo, «contribuire al movimento sicuro e all’evacuazione degli sfollati» e, secondo, «sostenere, con capacità specifiche, le agenzia umanitarie nelle loro attività». Il tutto per un primo periodo di quattro mesi a partire dall’avvio effettivo.
Piccolo dettaglio: la coraggiosa missione Ue che, come si è visto, prevede personale militare sul terreno a differenza della “Unified Protector” della Nato, può partire soltanto se lo chiederà l’Ocha (Ufficio per il coordinamento degli aiuti umanitari dell’Onu). «La decisione (presa dai 27 stati membri, n.d.r.) – si legge infatti nel comunicato ufficiale – prevede che l’Ue, se richiesto dall’Ocha (il corsivo è nostro, n.d.r.), condurrà una operazione militare nel quadro della politica comune di sicurezza e difesa per sostenere l’assistenza umanitaria nella regione». Della missione parleranno stasera, i ministri della Difesa dell’Ue riuniti a Bruxelles insieme ai loro colleghi agli esteri.
Peccato però che l’Onu, almeno per ora, di questo aiuto non sa proprio che farsene. Già pochi giorni dopo il solenne annuncio del varo della missione, precisamente l’11 aprile, la britannica Valery Amos, vicesegretario generale di Ocha, ha inviato alla sua connazionale Catherine Ashton, Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, una lettera in cui parla chiaro: «non vogliamo compromettere – scrive la Amos – la nostra capacità di fornire l’assistenza umanitaria a tutta la popolazione in stato di bisogno dando l’impressione che questa sia associata alle operazioni militari. Le alternative civili devono essere esplorate a pieno ed esaurite prima che mezzi militari stranieri siano utilizzati in operazioni di sostegno militare. Attualmente l’assistenza umanitaria sta raggiungendo le popolazioni colpite a Misurata e in altre zone della Libia, senza assistenza o sostegno militare».
A tutt’oggi, riferiscono numerose fonti diplomatiche, a New York la posizione sulla generosa offerta militare dell’Ue non è cambiata, anzi è stata ribadita almeno altre quattro volte. Del resto, non è solo l’Onu a pensarla così. «La decisione di inviare truppe Ue – ha detto Jamie Balfour-Paul, portavoce di Oxfam per il Medio Oriente – per sostenere sforzi umanitari, dovrebbe esser considerato solo l’ultima spiaggia. Non siamo assolutamente a questo punto in Libia, e bisogna considerare tutte le altre opzioni prima che Bruxelles sia autorizzata a procedere con questo piano».
Ci sarebbe da chiedersi se non sarebbe stato meglio informarsi prima di lanciare l’operazione. A Bruxelles però danno una laconica risposta: noi ci prepariamo in modo di esser pronti alla svelta se mai dovesse arrivare la richiesta. E si sente sempre lo stesso mantra: «la pianificazione procede». Sarà, ma, a parte che sembra sempre meno probabile che la richiesta di aiuto arriverà mai, secondo fonti militari raccolte da chi scrive «l’ultima riunione di ‘generation force’ (e cioè di impegni su quanti militari e mezzi mette a disposizione ogni stato membro n.d.r.) è andata così male che siamo molto al di sotto dei requisiti indispensabili anche per l’opzione minima della missione». Insomma, se per caso a New York cambiassero idea, altro che «pronti ad agire subito», non ci sono neppure uomini e mezzi disponibili. Quelli che parlano di “pesce d’aprile”, insomma, non sono poi tanto lontani dalla realtà.