Per il Sud qualche sussidio e neanche un’idea di sviluppo

Per il Sud qualche sussidio e neanche un’idea di sviluppo

L’ultimo Consiglio dei Ministri ci ha portato notizia, tra le altre, della proposta di un ‘bonus occupazione’ per le regioni meridionali. I dettagli riportati inizialmente dai giornali erano abbastanza confusi, ma ora la bozza provvisoria del cosidetto ‘decreto sviliuppo’ è stata pubblicata sul sito del governo e il quadro è un po’ più chiaro.

Il decreto parla al comma 1 di un credito d’imposta ‘per ogni lavoratore assunto nel Mezzogiorno a tempo indeterminato’. In realtà (e per fortuna) le cose sono un po’ più complicate. Il credito d’imposta, per un ammontare pari al 50% dei costi salariali per un anno, spetta alle imprese che aumentano effettivamente l’occupazione di lavoratori a tempo indeterminato, ma solo se tali lavoratori sono ‘svantaggiati’ (disoccupati da più di 6 mesi, persone prive della licenzia media, ultracinquantenni o donne per settori in settori con predominanza maschile), quota che si porta a due anni per i lavoratori ‘molto svantaggiati’ (disoccupati da più di due anni). A dir la verità, come ha poi spiegato Tremonti in una dichiarazione riportata dal Corriere, il bonus è più che altro un escamotage per spendere un po’ di fondi europei. Ma anche così, un po’ di soldi nazionali in questa faccenda ci devono finire, per cui è legittimo chiedersi a cosa e quanto servano i sussidi all’occupazione.

Uso di proposito il termine ‘sussidio’ perché di questo si tratta, dal punto di vista economico. Non fatevi ingannare dalla terminologia giuridica che chiama questa una ‘credito d’imposta’. Se non siete convinti chiedetevi: come cambierebbe la situazione se invece di un credito d’imposta il governo pagasse esplicitamente un sussidio pari al 50% del costo salariale a tutte le imprese che assumono un lavoratore a tempo indeterminato e che hanno “imposte positive”? La risposta è che non cambierebbe per nulla (notate la clausola sulle ‘imposte positive’, ci torneremo dopo).
Cominciamo dal principio, ossia qual è l’obiettivo del sussidio? Il ragionamento generale è questo. Consideriamo un imprenditore che si sta chiedendo se assumere o meno un dipendente a tempo indeterminato. Siccome il lavoro è a tempo indeterminato e quindi destinato a durare a lungo, l’imprenditore deve considerare costi e ricavi presenti e futuri, ossia calcolare il flusso scontato di ricavi addizionali attesi se assume un altro dipendente e compararlo con il flusso scontato di costi attesi. La differenza tra queste due grandezze è il profitto atteso che deriva dall’assunzione in un dipendente a tempo indeterminato. L’imprenditore confronta tale profitto atteso con il profitto atteso di altre opzioni, in particolare aspettare ad assumere o assumere un lavoratore a tempo determinato, e sceglie l’opzione che massimizza il profitto. Se non sta assumendo deve quindi essere perché attendere o assumere lavoratori a tempo determinato genera profitti attesi più alti.

Il sussidio serve a ridurre il costo atteso per l’imprenditore di assumere un lavoratore a tempo indeterminato, nella speranza che ciò renda più profittevole l’assunzione a tempo indeterminato rispetto alle alternative. Funziona? Beh, dipende dall’ammontare. Se domani il governo arriva e mi dice ‘ti regalo cinquecentomila euro l’anno se assumi un maggiordomo finchè resta occupato’ è chiaro che correrò ad assumere un maggiordomo (assumendo che il salario di un maggiordomo sia inferiore al mezzo milione; se non è così fatemelo sapere che provo a cambiar mestiere). Se invece mi dice ‘ti regalo mezzo milione ma solo il primo anno’ sarò costretto a chiedermi quanto a lungo dovrò tenermi il maggiordomo e quanto è il suo salario. Un sussidio del 50% per il solo primo anno è abbastanza piccolo una volta che lo inquadriamo in una prospettiva sufficientemente lunga di durata dell’impiego, per esempio vent’anni. È quindi probabile che, qualunque effetto ci sia sull’occupazione, esso sia molto ridotto.

Ma la domanda vera da porre è: a fronte del (supposto) beneficio derivante dalla creazione di un nuovo posto da maggiordomo, quali costi si pagano? Qui ci sono due ordini di problemi. Il primo è che il governo finisce per dare il sussidio anche a gente che il maggiordomo lo avrebbe assunto lo stesso. In quel caso il beneficio del sussidio è esattamente zero, si tratta di un puro trasferimento di danaro nei confronti del datore di lavoro. Il secondo è che il sussidio qualcuno lo deve pagare, e questo richiede o tasse più alte oggi o maggiore debito, e quindi tasse più alte in futuro. D’accordo che parte del costo cade sui fondi europei, ma non tutti e comunque nel lungo periodo questi sprechi si pagano in termini di reputazione.

Torniamo ora al punto lasciato in sospeso, la clausola sulle “imposte positive”. Come abbiamo detto l’unica differenza sostanziale tra un sussidio dato direttamente a tutte le imprese che aumentano l’occupazione a tempo indeterminato e un credito d’imposta è che nel secondo caso del sussidio potranno godere solo le imprese che pagano imposte positive. Il decreto specifica che il credito d’imposta va goduto entro tre anni dall’assunzione e, da quel che mi è dato capire, che non si può applicare all’IRAP ma solo all’imposta sui reddito d’impresa. Questo in realtà non è un punto da poco. Secondo i dati più recenti pubblicati dal Ministero, riferiti al 2008, — ‘il 51,6% delle Società di capitali ha dichiarato un’imposta sul reddito delle società (52,6% nel 2007), mentre il rimanente 48,4% non ha dichiarato un’imposta o ha un credito’.

Il documento non riporta i dati incrociati su redditi d’impresa e aumento dell’occupazione, ma è lecito sospettare che le società che pagano le imposte siano anche quelle in cui è più probabile che avvenga un aumento dell’occupazione. Il ché significa che il sussidio sarà, ancor più probabilmente, usato per aumenti dell’occupazione che sarebbero avvenuti comunque. In particolare, le imprese nuove che normalmente presentano bilanci in perdita nei primi anni non potranno godere del credito d’imposta.

In conclusione, un’altra inutile ed inefficace complicazione della legislazione fiscale e un altro esempio dell’improvvisazione con cui si spendono i soldi europei e i nostri. Di sviluppo, neanche l’ombra. 

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