Dopo le indiscrezioni nelle sale trading, dopo le sparate della stampa tedesca, ecco che arriva una voce ufficiale. «Sono costretta a parlare apertamente. O siamo d’accordo con i nostri creditori per un programma di significativi sacrifici … o si torna alla dracma». A dirlo è l’ellenica Maria Damanaki, commissario europeo alla Pesca. Pesante la reazione della moneta unica, tornata sotto quota 1,41 nel cross contro il dollaro. Alle parole della Damanaki risponde il portavoce del governo greco Georges Petalotis, che esclude ogni possibilità di uscita dall’eurozona. «No, non c’è una simile discussione in corso», ha detto Petalotis. Eppure, almeno per i mercati finanziari, non è così remota.
Linkiesta già il 10 febbraio aveva parlato di questa possibilità che sembra sempre più vicina. Il piano di salvataggio congiunto Ue-Banca centrale europea-Fondo monetario internazionale da 110 miliardi di euro, attivato il 5 maggio 2010, è servito solo a rallentare la discesa di Atene nell’abisso del fallimento. Non è un caso, infatti, che proprio oggi il presidente dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, abbia apertamente parlato di ristrutturazione del debito greco. «Ad Atene chiedo risparmi, riforme strutturali e privatizzazioni, poi nel quadro di ulteriori programmi per la Grecia, si potrà parlare di una ristrutturazione soft del debito», ha detto il politico lussemburghese. L’arrivo dell’ultimo atto della tragedia greca si fa sempre più vicino.
I mercati hanno già scontato questa opportunità. Per la prima volta nella sua storia i Credit default swap (Cds) sulla Grecia hanno superato quota 1.600 punti base sulla piattaforma CMA. Vale a dire che per assicurarsi contro l’insolvenza di un titolo greco quinquennale del valore di dieci milioni di dollari sono necessari 1,6 milioni di dollari. Una cifra considerata «insostenibile e fuori ogni logica» dal ministro delle Finanze George Papaconstantinou. Quest’ultimo ha spiegato a Bloomberg che «una uscita della Grecia dall’euro non è in discussione». Inoltre, per Papaconstantinou «l’Europa deve una risposta chiara se vuole preservare l’eurozona». Ma non è solo il prezzo dei Cds a preoccupare. La percentuale implicita di fallimento nell’arco dei prossimi cinque anni è schizzata al 68,92% nel corso della giornata, sempre sugli schermi CMA.
A preoccupare, nel caso di un default ellenico, sono le banche tedesche e francesi. Secondo la consueta analisi della Banca dei regolamenti internazionali (Bri), l’esposizione di Parigi su Atene è pari a 92 miliardi di euro, mentre quella di Berlino è prossima ai 70 miliardi. Nel complesso, sono 277,9 i miliardi di dollari che ballano sulla testa dell’Europa. Fra gli istituti di credito tedeschi maggiormente coinvolti troviamo Deutsche Bank, Postbank, Commerzbank e DZ Bank AG. Per i francesi, invece, troviamo Société Générale, Crédit Agricole e BNP Paribas, i tre maggiori gruppi del Paese. Tuttavia, secondo un report dell’Internation financing review, branca di Thomson Reuters, sarebbero oltre 100 miliardi di euro i titoli governativi ellenici che le banche europee hanno congelati nei propri portafogli. «Sono bond che non possono vendere, non possono coprire e non possono ignorare», avverte lo studio.
Sul versante politico, arriva l’accorato appello alla calma del premier George Papandreou. Intervenendo a un forum dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), il numero uno greco ha chiesto il silenzio stampa su Atene. «Ogni giorno ogni analista nel mondo predice che noi andremo in default o ristruttureremo. Lo si legge sui blog, in internet», ha detto Papandreou. Infine, ha ricordato le difficoltà che sta attraversando il Paese: «Il popolo greco sta facendo un grande sforzo per cambiare il paese, noi faremo il necessario ma lasciateci in pace». Difficile farlo quando proprio grazie alla Grecia si sta vivendo la più pesante crisi dell’eurozona.