Il positivo nel ciclismo è spesso l’aspetto più negativo. Il positivo, difatti, è l’ennesimo corridore trovato con le mani nella marmellata, con qualche sostanza chimica nelle vene che ne va ad alterare la prestazione sportiva. Il positivo è la vergogna del ciclismo. Il positivo però è anche il fatto che nel ciclismo i controlli antidoping si fanno e i bari vengono sistematicamente scovati.
Quella che vi proponiamo è l’altra metà del bicchiere: questa volta pieno, perché è giusto anche dire ciò che in questo sport funziona. Rcs Sport, che il Giro d’Italia l’organizza, spende ad esempio non meno di 300 mila euro per la lotta al doping. I team di World Tour, la Champions Legue del ciclismo, versano nelle casse del governo della bicicletta (Uci) mediamente 170 mila euro per la stessa cosa e altrettanti 200 mila vengono spesi da ciascun team per tenere monitorati i propri corridori.
Nel ciclismo – e solo in questo sport – esiste il «passaporto biologico», una banca dati che contiene tutti i valori fisiologici dei migliori 850 atleti di livello mondiale. Un modo per valutare periodicamente le variazioni sospette: aumentano i reticolociti? l’ematocrito? l’emoglobina? la ferritina?… Bene, i segugi (i corridori li chiamano i vampiri) dell’Uci si mettono sulle tracce del corridore ritenuto «sospetto» e viene controllato a sorpresa fin quando non viene scovato con le mani nel sacco.
Nel ciclismo si fanno da anni esami sangue-urina, cosa che non è così scontata per gli altri sport, anzi. Nel ciclismo da anni un corridore deve comunicare i propri spostamenti (modulo Adams): se per esempio Ivan Basso, vincitore dell’ultimo Giro d’Italia, residente a Cassano Magnano in provincia di Varese, decidesse come ha deciso di trasferirsi per quattro giorni con la moglie Micaela e i suoi tre bimbi in Trentino Aldo Adige, deve comunicarlo in maniera telematica compilando il modulo Adams all’Uci, specificando dove si reca, in quale albergo o casa e fino a quando ha intenzione di restarci. Questo perché gli ispettori dell’Uci, se vogliono controllare il varesino a sorpresa, devono sapere dove è. Questo per tutti i 365 giorni all’anno: insomma, i corridori sono in pratica in libertà vigilata. Vi risulta che un calciatore, un nuotatore, un giocatore di tamburello faccia altrettanto? Se un corridore non comunica tempestivamente i propri spostamenti, alla prima infrazione scatta il richiamo, poi la squalifica perché una mancata comunicazione equivale ad una positività.
Nel mondo del calcio, tanto per fare qualche esempio, il Barcellona si può permettere come si è permesso di non farsi trovare dagli ispettori della Wada (agenzia mondiale dell’antidoping) per ben due volte, ma nessuno osa fare nulla. Al mondiale del 2006, vinto dall’Italia di Lippi, agli ispettori della Wada non è stato neppure permesso di avvicinarsi alle squadre e di conseguenza ai giocatori. La Fifa li ha rimandati serenamente a casa adducendo al fatto che per i controlli c’erano loro. Punto.
Nel ciclismo i controlli vengono effettuati da Wada, Uci, Coni, ministero della Salute e un atleta o una squadra non può proferire verbo. Nel ciclismo il capo della Procura antidoping del Coni Ettore Torri convoca i ciclisti sospettati, mentre per una sospetta positività di Fabio Cannavaro (puntura d’ape, ricordate?) si reca in tutta segretezza a Torino (brava la Repubblica e il collega Eugenio Capodacqua a renderlo noto) per raccogliere tra le segrete stanze le motivazioni del giocatore e dello staff medico.
Nel ciclismo è vietato da anni farsi le endovenose e da questo Giro d’Italia è scattata addirittura la nuova campagna Uci denominata «no ago»: nessun medicinale può più essere più somministrato con una siringa, se non in casi estremi. E qui, siamo davvero agli estremi.
Nel ciclismo gira così, perché per sua fortuna è uno sport popolarissimo, ma
per sua sfortuna è privo di protezioni, anticorpi e mammasantissima. È una sorta di bellissimo laboratorio globale a cielo aperto, nel quale sperimentare, verificare e testare nuovi processi di verifica. Ma non solo, i continui scandali non fanno altro che giocare in favore di Coni e ministero della Salute che ricevono dal Governo una montagna di quattrini per combattere il doping e a loro servono delle pezze giustificative concrete (leggi casi eclatanti di positività): in pratica controllano il ciclismo che, suo malgrado, non delude mai: se controlli, qualcosa trovi sempre. Ed è certamente questo l’aspetto più avvilente della questione, che
rende il ciclismo difficilmente difendibile. Ma andiamo avanti.
Nel nuoto, nel rugby, in molte discipline nelle quali gli atleti corrono in pratica per il tricolore, per la nazionale, tutto risulta pulito. Nel ciclismo, dove sono gli sponsor, le aziende private a marchiare a fuoco l’atleta, il gioco al massacro è molto più facile e suggestivo. Non me lo leverà mai nessuno dalla mente il tarlo che da anni mi opprime: se si tornasse a correre un Tour de France per nazionali come negli anni Cinquanta, quelli di Bartali, Coppi e Magni, i casi di positività
diminuirebbero in maniera considerevole. È solo un sospetto, ma ho quasi la
certezza che finirebbe così.
Nel nuoto, dalla sera alla mattina, ci siamo scoperti un popolo di Santi, Poeti e Nuotatori: record a raffica. Nessuno osa sospettare niente. Nessuno in verità fa controlli approfonditi. Esami sangue-urina? Ma non scherziamo. E lo stesso dicasi nel Rugby, dove al Sei Nazioni la federazione internazionale ha motivato un anno fa la decisione di effettuare solo l’esame delle urine perché «quello del sangue non serve: non abbiamo mai trovato nessuno». Semplicemente fantastici.
E nel tennis? La Wada si presentò qualche anno fa al Roland Garros per dei controlli, ma tutti gli atleti in pratica risposero: «o loro o noi». Gli organizzatori hanno scelto loro: i tennisti.
Nel ciclismo vengono trovati corridori positivi perché vengono semplicemente
effettuati i controlli. I più sofisticati. I più accurati. Nel laboratorio di Colonia sono arrivati addirittura a scovare nel sangue di Alberto Contador tracce di ftalati, corpuscoli plastici a significare che il corridore spagnolo potrebbe aver fatto ricorso ad autoemostrasfusione. Cosa c’entra la plastica? Il pulviscolo delle sacche. Capite la scienza?…
Insomma, nel ciclismo si usa il telescopio astrale, mentre negli altri sport siamo ancora alla lente d’ingrandimento. Il ciclismo è credibile perché fa di tutto per esserlo. Questo è certamente l’aspetto più positivo: peccato per le continue positività.
* direttore responsabile di tuttoBICI