Stadio Azteca, 17 giugno 1970. La voce di Nando Martellini scandiva «che meravigliosa partita», mentre Gianni Rivera segnava il quarto gol, che consegnava definitivamente alla storia del calcio Italia – Germania. Allo stadio Azteca, una targa ricorda quei 120 minuti e i gol di Boninsegna (8′), il pareggio di Schnellinger all’ultimo minuto (90′) e i gol dei supplementari: Burgnich (98′), la doppietta di Gerd Müller (94′ e 110′), il gol di Riva (104′) e la rete, a 9 minuti dalla fine dell’abatino da Gianni Brera. A rileggere il suo articolo del giorno dopo, il 18 giugno 1970 su Il Giorno, è evidente la distanza con le cronache più recenti, e meno fortunate, del calcio italiano.
L’articolo iniziava così:
“Il vero calcio rientra nell’ epica… la corsa, i salti, i tiri, i voli della palla secondo geometria o labile o costante…” Non fossi sfinito per l’ emozione, le troppe note prese e poi svolte in frenesia, le seriazioni statistiche e le molte cartelle dettate quasi in trance, giuro candidamente che attaccherei questo pezzo secondo ritmi e le iperboli di un autentico epinicio. Oppure mi affiderei subito al ditirambo, che è più mosso di schemi, più astruso, più matto, dunque più idoneo a esprimere sentimenti, gesti atletici, fatti e misfatti della partita di semifinale giocata all’ Azteca dalle nazionali d’Italia e di Germania.
Un giorno dovrò pur tentare. Il vero calcio rientra nell’ epica: la sonorità dell’ esametro classico si ritrova intatta nel novenario italiano, i cui accenti si prestano ad esaltare la corsa, i salti, i tiri, i voli della palla secondo geometria e labile o costante…Trattandosi di un tentativo nuovissimo, non dovrei neanche temere di passare per presuntuoso. “Se tutti dovessero fare quello che sanno”, ha sentenziato Petrolini, “nulla o quasi verrebbe fatto su questa terra”.Un giorno dovrò pur tentare. Il vero calcio rientra nell’ epica: la sonorità dell’ esametro classico si ritrova intatta nel novenario italiano, i cui accenti si prestano ad esaltare la corsa, i salti, i tiri, i voli della palla secondo geometria e labile o costante…Trattandosi di un tentativo nuovissimo, non dovrei neanche temere di passare per presuntuoso. “Se tutti dovessero fare quello che sanno”, ha sentenziato Petrolini, “nulla o quasi verrebbe fatto su questa terra”.
In qualche modo anche Brera era conscio del fatto che qualcuno, un giorno, sarebbe andato a rileggersi quella cronaca:
Ora mi terrorizza l’ idea che qualcuno debba scorrere un giorno questo articolo senza capire né poco né punto come si sia svolta la memorabile semifinale Italia-Germania dei mondiali 1970. Retorica ne ho fatta solo a rovescio, giustificando la mia umana impotenza a poetare. Ho dato un. idea di quanto avrebbe meritato lo spettacolo dal punto di vista sentimentale? Bene, non intendo abbandonarmi a iperboli di sorta.
Brera descrive le varie fasi centrali della partita, in cui l’Italia subisce la Germania, in svantaggio, i supplementari e il gol definitivo di Rivera. La cronaca della partita prosegue, nella lingua di Brera, fino al racconto dell’epilogo:
Adesso è proprio finita. I tedeschi sono battuti. Beckenbauer con braccio al collo fa tenerezza ai sentimenti (a mi, nanca un po’ ). Ben sette gol sono stati segnati. Tre soli su azione degna di questo nome: Schnellinger, Riva, Rivera. Tutti gli altri, rimediati. Due autogol italiani (pensa te!). Un autogol tedesco (Burgnich). Una saetta di Bonimba ispirata da un rimpallo fortunato.
Come dico, la gente si è tanto commossa e divertita. Noi abbiamo rischiato l’ infarto, non per ischerzo, non per posa. Il calcio giocato è stato quasi tutto confuso e scadente, se dobbiamo giudicarlo sotto l’aspetto tecnico-tattico. Sotto l’aspetto agonistico, quindi anche sentimentale, una vera squisitezza, tanto è vero che i messicani non la finiscono di laudare (in quanto di calcio poco ne san masticare, pori nan).
I tedeschi meritano l’ onore delle armi. Hanno sbagliato meno di noi ma il loro prolungato errore tattico è stato fondamentale. Noi ne abbiamo commesse più di Ravetta, famoso scavezzacollo lombardo. Ci è andata bene. Siamo stati anche bravi a tentare sempre, dopo il grazioso regalo fatto a Burgnich (2-2). L’ idea di impiegare i dioscuri Mazzola e Rivera è stata un po’ meno allegra che nell’ amichevole con il Messico. Effettivamente Rivera va tolto dalla difesa. Io non ce l’ ho affatto con il biondo e gentile Rivera, maledetti: io non posso vedere il calcio a rovescio: sono pagato per fare questo mestiere. Vi siete accorti o no del disastro che Rivera ha propiziato nel secondo tempo?
La chiusa è dedicata alla futura finale con il Brasile, che l’Italia perderà, con Rivera in panchina fino all’84esimo, 4 a 1.
Il 4-3, a pensarci, legittima tutto: anche le nostre fondate ambizioni a vincere definitivamente la rimet. Ma se commettiamo gli sfondoni di mercoledì con il fiero e disinvolto Brasile, poco poco ne prendiamo de goleada. Attenti, allora. Da domani studiamo la partita, ci ragioniamo su e vediamo com è possibile farla nostra, se davvero sarà possibile.
Il tabellino della partita
Italia 4
Germania 3
Italia: Albertosi; Burgnich, Facchetti; Bertini, Rosato (dal 1′ del p.t. suppl. Poletti ), Cera; Domenghini, Mazzola (dal 46′ Rivera), Boninsegna, De Sisti, Riva.
Germania Ovest: Maier; Vogts, Patzke ( Held dal 65′ ); Schnellinger, Schultz, Beckenbauer; Grabowoski, Overath, Seeler, Müller, Löhr (Libuda dal 51′ ).
Arbitro: Yamasaki ( Messico )