«Fino a 10mila esuberi» dentro Intesa Sanpaolo

«Fino a 10mila esuberi» dentro Intesa Sanpaolo

In una lettera ai sindacati Intesa Sanpaolo ha annunciato «fino a 10mila eccedenze». Esuberi che sono frutto del piano industriale 2011-2013/15 presentato dall’amministratore delegato Corrado Passera due mesi fa. A regime si stima una riduzione del costo del lavoro di 300 milioni all’anno. «È sconcertante per un gruppo bancario che ha l’ambizione di porsi come la banca di riferimento della nazione», accusa Lando Sileoni, segretario generale dalla Fabi, il sindacato più rappresentativo dei bancari. «Questa storia va avanti senza sosta dal 2006, anno della nascita dei grandi Gruppi bancari». Dal 2006 si sono fuse Banca Intesa con il Sanpaolo, Unicredit e Capitalia, la bergamasca Bpu con Banca Lombarda (ora Ubi Banca), la Popolare di Verona e Novara con quella di Lodi, dando vita al Banco Popolare.

Eppure potrebbe trattarsi solo dell’inizio di una grande stagioni di licenziamenti in filiale. Da  un’inchiesta che avevamo pubblicato due mesi fa, emerge che non potrebbe che essere l’inizio: nelle banche italiane sono latenti fino a 80mila esuberi. L’intero sistema si avvia a una fase di trasformazione che gli esperti paragonano a quella vissuta dall’industria dell’acciaio negli anni ’70. La causa va cercata nell’innovazione tecnologica applicata ai servizi finanziari (internet ma anche telefono) e, di conseguenza, nel cambiamento di abitudini della clientela. La vecchia filiale è diventata obsoleta e pletorica. E i problemi sono stati portati a galla ed esacerbati dalla crisi. Anche per questo, la Fabi e le altre sigle sindacali (Fiba Cisl, Fisac Cgil, Uilca, Ugl credito, Sinfub e Dircredito) lamentano che «i sacrifici vengono chiesti solo ai lavoratori mentre alti dirigenti e banchieri vedono salire i loro stipendi e le loro stock option». 

Tornando a Intesa Sanpaolo, la questione al momento è confusa. Fonti vicine all’istituto presieduto da Giovanni Bazoli ci tengono a sottolineare che le eccedenze prospettate non si traducono automaticamente in tagli o licenziamenti. Secondo un portavoce della banca, «le affermazioni della Fabi, che sconcertano nel tratto e sorprendono nei contenuti, sono destituite di fondamento». Nella lettera di apertura della procedura di riorganizazione viene spiegato che, su 10mila eccedenze teoriche, 5mila dipendenti saranno spostati da funzioni amministrative interne a compiti commerciali attraverso un programma di riqualificazione professionale. Altre 3mila eccedenze si tradurranno invece in tagli o tramite il blocco del turnover o tramite il ricorso al Fondo esuberi di settore: si prevede, spiega il portavoce, «una riduzione degli organici di almeno 3mila unità mediante l’applicazione delle normative di legge e contrattuali in vigore, al fine di ricondurre detti organici al numero, previsto dal piano, di 98mila».

Il problema, sottolineano i sindacati, è che l’accesso all’ammortizzatore sociale di settore, il fondo esuberi appunto, è stato bloccato dalle banche, con decisione condivisa in sede Abi (la lobby del settore), dopo che non sono state più rinnovate le agevolazioni fiscali che lo rendevano conveniente per aziende e dipendenti. Una mano potrebbe arrivare in questo senso dal governo, ma il ministro delle Finanze Giulio Tremonti si è mostrato finora contrario. Se non si raggiungesse un accordo, però, le banche, a partire da Intesa, potrebbero  cominciare a ricorrere alla cassa integrazione (“le normative di legge”), i cui costi ricadono però sul bilancio pubblico.

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