Il problema Mps: manca gli obiettivi e il capitale è basso

Il problema Mps: manca gli obiettivi e il capitale è basso

Il Monte dei Paschi ha un problema. In realtà, nel settore bancario c’è un problema generale legato ai nuovi requisiti di capitale imposti da Basilea III, e uno particolare che riguarda le performance deludenti del management. La banca senese rappresenta un esempio lampante di entrambi.

Cominciamo dal management. Sul bilancio di Rocca Salimbeni sono iscritti 6,5 miliardi di avviamenti che derivano principalmente dall’acquisto di Antonveneta, giustificato da una formula contabile che include il pagamento dei dividendi futuri, che sono stati pari a zero nel 2009 e a 168 milioni nel 2010. Prendendo a riferimento questo parametro, il valore di Mps è di 2 miliardi di euro.

Tuttavia, c’è uno scintillante piano industriale 2011-2015 che può giustificare questi valori, ma è disarmante constatare che i suoi obiettivi per il 2013 sono più bassi del precedente piano, riferito all periodo 2008-2013. E che la banca, peraltro, non ha mai rispettato gli obiettivi per il 2009 e il 2010. Per il management è meglio dimenticarsi della storia, e continuare a credere nelle previsioni per il futuro.

Siccome gli avviamenti sono automaticamente detratti dal capitale di vigilanza, forse si tratta di un dettaglio che non deve preoccupare. Il Monte dei Paschi ha però 2,1 miliardi in attività fiscali differite (Dta) riferite all’avviamento su un totale di 4,1 miliardi di euro: intorno al 40% del capitale core. Peccato che il valore di queste Dta è difficilmente giustificabile se è basato su avviamenti dei quali si hanno pochissime prove.

Alcuni di essi sono finiti nei giorni scorsi sotto la lente della Consob, che ha «in corso approfondimenti» sugli impairment test svolti su Biverbanca e Banca Antonveneta. Gli avviamenti relativi alle due controllate ammontano infatti a 1,6 miliardi di euro, mentre complessivamente Rocca Salimbeni ha in bilancio avviamenti per 6,4 miliardi, su un totale di attività immateriali pari a 7,5 miliardi di euro. Gli impairment test svolti in occasione dell’approvazione del bilancio 2010, spiega Mps, non hanno evidenziato alcuna perdita durevole degli avviamenti «e, conseguentemente, non si è proceduto ad alcuna rettifica di valore». Secondo quanto si legge sul prospetto relativo all’aumento di capitale, inoltre, risulta che la banca senese ha in corso un contenzioso da 1,08 miliardi di euro con il Fisco in relazione a operazioni di trading su azioni perfezionate a cavallo dello stacco dei dividendi e di operazioni di pronti contro termine su obbligazioni estere. 

Stando alle regole di Basilea III, i Dta non possono avere un peso superiore al 15% del capitale core, ma la Banca d’Italia sta facendo pressioni affinché gli istituti possano ignorare questa norma. 

Per dare un ulteriore aiuto, via Nazionale ha affermato che le banche italiane non hanno bisogno di tagliare il valore a libro dei titoli di debito europei in portafoglio: un altra spinta da 700 milioni di euro per Mps. Infine, l’annullamento del filtro prudenziale sull’avviamento ha incrementato di un altro 0,4% il Tier 1 nel primo trimestre di quest’anno.

Si può quindi affermare che, sebbene gran parte delle difficoltà odierne delle banche derivino da una sostanziale mancanza di regolamentazione nel periodo pre-crisi, la banca guidata da Antonio Vigni continua a godere di una mano tesa nei suoi confronti da parte delle istituzioni. In questo senso, probabilmente si dovrebbe essere delusi non solo dal management ma anche dal regolatore e da Bankitalia. Dopotutto quando si tratta di una banca da 232 miliardi di euro, cosa importa se il capitale non è proprio a posto al 100 per cento?

I requisiti imposti da Basilea, tuttavia, aiutano fino ad un certo punto a comprendere le condizioni effettive in cui versa la banca. Il Tier 1 ratio è il patrimonio di base diviso per le attività ponderate per il rischio. Alcune attività, però, sono più rischiose di altre, e dunque necessitano di maggiore capitale per bilanciarle. Ad esempio, il debito che deriva da una carta di credito, per una banca, è più rischioso di un mutuo, garantito dall’ipoteca. Per questo è molto interessante notare che le attività ponderate per il rischio sono passate dal 62% del totale degli assets nel 2008 al 45% nel 2010, senza nessun cambio sostanziale nella loro composizione. I prestiti sono diventati molto meno rischiosi negli ultimi due anni, e dunque – mirabile dictu – necessitano di un livello inferiore di capitale a copertura.

Se prendo il capitale e lo divido per il totale degli asset, invece,  il Tier 1 scende al 3,5 per cento. Un livello davvero basso. Una visione troppo crudele di come le banche devono essere controllate? Secondo un’analisi di David Miles, professore all’Imperial College e membro del board della Bank of England, il capitale di una banca, calcolato in percentuale all’attivo ponderato per il rischio, dovrebbe arrivare al 20 per cento. Oppure, intorno al 7-10% del totale degli asset. A Siena, però, continuano a credere nelle previsioni per il futuro.

*analista indipendente
 

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