BRUXELLES – C’era una volta la riforma della governance di Schengen. Erano le settimane dello scontro frontale tra Roma e Parigi sulla questione degli immigrati, con Roberto Maroni che inveiva contro l’Ue “inutile” e la Francia che rispediva sistematicamente i tunisini arrivati a Mentone da Ventimiglia. Il commissario europeo agli Affari Interni, la svedese Cecilia Malmström lanciava l’idea di una “riforma”, che aumentasse le possibilità di sospendere Schengen, non più dunque soltanto per ragioni di ordine pubblico o di sicurezza. Era inizio di aprile, i giornali sparavano titoloni in prima.
E poi? Siamo a giugno, ed è calato il silenzio, mentre continuano ad arrivare le tristi notizie di barconi capovolti e centinaia di migranti annegati. Bruxelles ha presentato proposte per uniformare le procedure d’asilo, per rilanciare il dialogo con i paesi della sponda Sud del Mediterraneo, per rafforzare l’agenzia delle Frontiere Ue (Frontex) ma della questione dei controlli di frontiera non si sente più niente. «La questione è complessa – diceva a chi scrive, già alcune settimane fa, un funzionario della Commissione – gli stati membri sono divisi, dobbiamo aspettare almeno il summit Ue del 23 e 24 giugno».
«Almeno», perché non è troppo probabile che anche in quella sede si sblocchi qualcosa. Erano state soprattutto Parigi e Berlino a premere per ampliare le possibilità di reintrodurre le frontiere, Bruxelles aveva ipotizzato di includere come cause anche il massiccio afflusso di immigrati o inadempienze di Stati Membri. Il pensiero, in questo secondo caso, è rivolto anzitutto a Romania e Bulgaria, che hanno soddisfatto tutti gli obblighi giuridici previsti per entrare effettivamente nello spazio Schengen, ma vengono tenute fuori da paesi come anzitutto la Germania, che non si fidano ancora.
Il problema, d’altra parte, come spiega un diplomatico, è: «chi decide quando effettivamente subentra una di queste situazioni? La Commissione vorrebbe una procedura Ue con lei al centro». La stessa Malmström, insieme alla collega alla Giustizia Viviane Reding, in una lettera-appella pubblicata a maggio su Libération avvertivano che «una tale decisione (il ripristino dei controlli, n.d.r.), che colpirebbe tutti, deve necessariamente essere approvata dalle istituzioni europee». Solo che, riferiscono ancora fonti diplomatiche, «la maggior parte degli stati membri da questo orecchio non ci sentono, vogliono mantenere la competenza su base strettamente nazionale».
Intanto, vari altri paesi, come ad esempio il Belgio, la Spagna, Malta, Cipro, cominciano a preoccuparsi per possibili danni a quella che la stessa cancelliera tedesca Angela Merkel ha definito «una grande conquista», l’Europa senza frontiere. Non ha aiutato la discussione, del resto, l’improvvido annuncio danese della reintroduzione di controlli regolari alle proprie frontiere con tanto di casotti doganali – con grande ira da parte tedesca. «La libera circolazione – ha avvertito, sempre a maggio, il presidente della Commissione Europea José Manuel Durao Barroso, intervenendo all’assemblea plenaria del Parlamento Europeo a Strasburgo – è come le fondamenta di un edificio, se viene meno è tutto l’edificio a rischio».
Un gran pasticcio, insomma, mentre l’Ue ha ben altri problemi di cui preoccuparsi, a cominciare dalla Grecia a rischio default, in questi giorni ci si è messo anche il “batterio killer”. Perché rompersi la testa pensando a Schengen? «In fondo – dice un altro diplomatico – i controlli sono stati reintrodotti tante volte con le norma attuali, come per il G8 in Francia e in Italia, i campionati di atletica in Finlandia, i mezzi ci sono già».
Tanto più, riferisce una funzionaria comunitaria, che i servizi giuridici del Consiglio Ue hanno messo in guardia la stessa Commissione Europea: «attenti, che a introdurre troppe possibilità di sospensione di Schengen, si rischia di violare i principi fondamentali del Trattato stesso». Non stupisce allora il silenzio, che Bruxelles cerca di coprire con altre proposte in tema di immigrazione, di cui dicevamo. La famosa «riforma della governance» («non dell’intero Trattato, per carità», sottolineava alla Commissione), insomma, può tranquillamente attendere. Piuttosto, domani in Lussemburgo i ministri dell’interno si troveranno a discettare su questione gravi, ad esempio se, a proposito degli addetti Ue alle frontiere esterne, parlare, come vuole il Parlamento Europeo, di «sistema europeo di guardie di frontiera» o invece «di pool di guardie di frontiera Frontex». Questi sì che sono problemi…