Le imprese italiane hanno più paura di andare all’estero

Le imprese italiane hanno più paura di andare all’estero

«Coerentemente con l’andamento della crisi economica, gli investimenti diretti esteri (IDE) dei 27 paesi membri dell’Unione europea hanno accusato, nel 2010, il drastico calo del 62% rispetto al 2009, passando da 281 a 107 miliardi di euro;  gli investimenti esteri verso i 27 paesi dell’Unione dal resto del mondo si  sono addirittura ridotti del 75%, arrivando (da 216 miliardi di euro del 2009) ad appena 54 miliardi nel 2010».  È quanto riporta una nota diffusa ieri da Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione europea, in merito ai flussi di investimenti diretti esteri dai paesi dell’Unione verso il resto del mondo e viceversa. 

Si tratta di un ulteriore brutto segnale per lo stato di salute dell’economia europea, che dunque dimostra da un lato di essere poco attrattiva per investimenti da paesi extra-Ue e dall’altro non sufficientemente forte per tornare a livelli di investimenti verso l’estero pre-crisi. Ciò a maggior ragione se si considera, come emerge dai dati Eurostat, che gli investimenti diretti esteri europei del 2010 sono 5 volte inferiori a quelli del 2007 e gli IDE dei paesi non europei verso l’Unione sono addirittura un ottavo del valore raggiunto nel 2007.

Gli Stati Uniti rimangono il maggiore investitore nei 27 paesi dell’Unione, nonostante i flussi nel 2010 siano scesi a 28,5 miliardi: -68,8 miliardi in confronto al 2009 e -166,5 miliardi rispetto al 2007. Parallelamente scendono gli IDE europei verso gli Usa, passati a 11,9 miliardi, rispetto ai 79,2 miliardi del 2009 ed i 173,8 del 2007. Diminuiscono con forza gli scambi con la Svizzera, i cui IDE nei paesi dell’Unione sono passati da 24,7 miliardi del 2009 a soli 6,2. Una vera e propria fuga – di capitali, più che di imprese – è avvenuta rispetto agli IDE dei paesi dell’Unione in Svizzera: in questo caso vi è stato un vero e proprio disinvestimento, pari a 7,4 miliardi di euro con un conseguente calo degli IDE del 117 per cento.S ono in controtendenza gli investimenti del Canada, di Hong Kong e del Brasile verso l’Unione .

Nel 2010 gli IDE dal Canada sono cresciuti a quota 27,7 miliardi di euro (+140% sul 2009), quelli da Hong Kong hanno raggiunto il valore di 11,3 miliardi (+780% sul 2009) mentre quelli dal Brasile sono pari a 3,8 miliardi (+850% rispetto al 2009). Il Lussemburgo, con 38 miliardi di IDE in uscita, risulta il maggiore investitore tra i paesi europei extra UE, seguito dal Belgio (36 miliardi) e dalla Francia (23 miliardi). Il Lussemburgo, per ragioni che non sfuggono, con una quota pari a 48 miliardi, è il maggior destinatario di investimenti diretti esteri da paesi extra Ue, davanti all’Irlanda (21 miliardi), alla Germania (14 miliardi) e alla Gran Bretagna (28 miliardi). Quest’ultima spicca, nella statistica stilata da Eurostat, per i disinvestimenti effettuati dagli Stati Uniti e dal Canada, rispettivamente pari a 20,9 ed a 9,2 miliardi di euro. 

Come nei precedenti anni, gli IDE dei paesi dell’Unione hanno prevalso, per 53 miliardi di euro, su quelli dei paesi del resto del mondo verso l’Unione. Tra i paesi di quest’ultima, il Belgio è stato il maggior investitore negli Stati extra Unione con 35,9 miliardi di euro, seguito dalla Svezia (22 miliardi), dai Paesi Bassi (19 miliardi), dalla Francia (15 miliardi) e dalla Germania (14 miliardi). Con flussi in entrata superiore a quelli in uscita per 16 miliardi di euro, la Gran Bretagna risulta aver avuto il migliore saldo degli IDE da paesi extra Unione, seguito dall’Irlanda (14 miliardi) e dal Lussemburgo (9 miliardi). 

Si conferma risibile, anche nel 2010, il contributo dell’Italia nella classifica degli IDE in ingresso ed in uscita dall’Unione. Sono appena 800 milioni di euro gli IDE verso gli Stati Uniti e la Russia, 500 gli IDE in Cina, 400 in India e in Svizzera vi è stato un disinvestimento pari a 3 miliardi di euro. Nella quota marginale di IDE verso il nostro Paese prevale la Svizzera (800 milioni di euro), davanti agli Stati Uniti (500 milioni) ed al Giappone (200 milioni). Se si escludono gli investimenti puramente finanziari, va detto che gli IDE dell’Italia vengono realizzati nella maggior parte dei casi da imprese multinazionali, come dimostra il caso più eclatante di Fiat.

Secondo uno studio realizzato dall’Istat nel marzo scorso, la presenza all’estero di imprese multinazionali italiane è sufficientemente rilevante, oltreché geograficamente diffusa: nel 2008 erano quasi 21 mila unità, localizzate in oltre 150 paesi, con 1,5 milioni di addetti ed un fatturato complessivo pari a 386 miliardi. I principali paesi di localizzazione delle attività industriali a controllo italiano sono: Romania (oltre 116 mila unità), Brasile (oltre 75 mila), Cina(oltre 66 mila) e Francia (quasi 57 mila). Diversamente le affiliate italiane all’estero attive nei servizi sono principalmente negli Stati Uniti (quasi 106 mila addetti), in Germania (quasi 66 mila), in Spagna (oltre 42 mila) e in Francia (circa 39 mila).

La Romania è al primo posto per numero di imprese italiane (sempre dato 2008): infatti le 3777 affiliate italiane impiegano oltre 138 mila addetti, realizzando un fatturato di quasi 6,9 miliardi. L’analisi per area geografica mostra che l’Unione europea rappresenta la principale area di localizzazione delle multinazionali italiane all’estero, con il 63% delle imprese, il 50,4 degli addetti ed il 63% del fatturato; seguono il Nord-America (9,8% delle imprese, 11,4% degli addetti, 9,7% del fatturato), l’Asia (10,9% delle imprese) e il Centro e Sud America (10,4%). 

È un quadro incoraggiante quello che emerge sul fronte degli investimenti diretti esteri condotti dalle multinazionali italiane. Le quali, però, rappresentano una quota minoritaria del tessuto economico-produttivo italiano, imperniato, come è noto, sulle piccole-imprese. Il che spiega come l’Italia, anche nel “mercato” degli investimenti diretti esteri arranchi rispetto ai principali partner europei: gli IDE italiani rappresentano il 2,3 del Pil, mentre in Francia sono il 5,1%, in Gran Bretagna il 3,8%, in Spagna il 7,3%.

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