Quando si dice il tempismo. Venerdì ricorre il 22esimo anniversario della strage di piazza Tienanmen. Lo stesso giorno – a rischio di imbarazzanti polemiche diplomatiche – i rappresentanti della politica italiana renderanno omaggio al governo di Pechino. In mattinata il segretario del Partito democratico Pier Luigi Bersani incontrerà a Roma il vicepresidente della Repubblica Popolare di Cina Xi Jinping. Alle 12.30 sarà la volta del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che accoglierà il dirigente cinese – sostituirà Hu Jintao alla presidenza e sarà nominato segretario del partito nel marzo 2012 – a Villa Doria Pamphili.
Contemporaneamente, nella sede del gruppo Pdl al Campidoglio, una conferenza stampa organizzata dal partito del Cavaliere ricorderà la strage di Tienanmen. Un incontro per «affrontare il tema delle violazioni dei diritti umani del Governo cinese nella Cina di oggi».
Xi Jinping è stato invitato a Roma dal capo dello Stato Giorgio Napolitano, per partecipare alle celebrazioni del 2 giugno. Durante la breve visita italiana il leader cinese incontrerà anche alcuni rappresentanti del mondo industriale e commerciale. La diplomazia impone alcune regole, certo. Non sfugge neppure che il Vice Presidente cinese sia stato uno dei pochi membri del partito comunista a criticare – senza alzare troppo la voce – la strage del 1989. Eppure, celebrazioni per la Festa della Repubblica a parte, stupisce che Berlusconi e Bersani abbiano deciso di confrontarsi con Xi Jinping proprio venerdì: nell’anniversario di quella che è passata alla storia come la più sanguinosa repressione interna del Governo di Pechino.
«Certo, sarebbe stato meglio organizzare il faccia a faccia tra Bersani e il leader cinese un altro giorno – raccontano dal Pd – ma anticipare o posticipare l’incontro di qualche ora sarebbe stato ipocrita. Il problema legato alla vicenda di piazza Tienanmen resta, non c’è dubbio. Ma è impensabile evitare qualsiasi dialogo con Pechino».
La notte del 3 giugno 1989 l’esercito cinese occupò piazza Tienanmen dove, da quasi due mesi, centinaia di migliaia di persone – per la maggior parte studenti e intellettuali – manifestavano contro l’oppressione del Governo. La resistenza dei giovani fu repressa nel sangue. Il numero ufficiale delle vittime non è mai stato chiarito, soprattutto per volontà del partito comunista cinese. Ma secondo fonti non ufficiali i morti furono almeno un migliaio. Una vicenda ancora attuale. Secondo alcune indiscrezioni, nei giorni scorsi il Governo cinese avrebbe proposto un risarcimento – ma da Pechino hanno smentito – all’associazione familiari dei manifestanti uccisi. Un’offerta rifiutata dall’associazione, che dopo ventidue anni chiede ancora giustizia. «La vita – hanno fatto sapere le famiglie delle vittime – non si compra con i soldi».