Mani in alto, questa è una rapina!

Mani in alto, questa è una rapina!

Luana Vergari (Roma, 1976) ha scritto per i cartoni animati (Red Caps, Teen Days, School for Vampires) e il cinema. Esordisce nel campo dei fumetti con la storia Ely è là (Indypress, 2004), disegnata da Luca Genovese. È una delle autrici coinvolte dall’etichetta di auto-produzione Self Comics, per cui realizza sia storie a fumetti che racconti. Ha scritto per Mauro Cao il libro Bookcrossing (Tunué, 2006), diverse storie brevi per le antologie Mono, Resistenze e Zerotolleranza. Nel 2008 ha pubblicato sia A volto coperto che Caro Babbo Natale… con i disegni di Claudio Calia (Black Velvet).

Francesco Mattioli è uno dei Fratelli Mattioli, apprezzati in una stretta cerchia di lettori per aver donato al mondo il Mirabolante Almanacco. Vive e lavora a Casalecchio di Reno, dove coltiva il suo amore per l’entomologia, l’evoluzionismo e i Dalek. La sua pigrizia, accompagnata dalla recente attività di babbo, ha fatto sì che il suo ultimo fumetto, La Furia di Eymerich, sia apparso sugli scaffali ben cinque anni prima di questo. Nel frattempo si è dedicato ad attività più rilassanti, illustrando libri per ragazzi e giochi da tavolo. In questo volume ha potuto approfondire la sua passione per le orribili macchine anni Settanta e le carte da parati vintage. Al momento sta lavorando, già da diversi anni, al suo progetto più ambizioso: il graphic novel Dante II: Ritorno all’Inferno.

La casa editrice Tunué-Editori dell’immaginario è una casa editrice di Latina specializzata nella saggistica dedicata al fumetto, all’animazione, ai videogiochi e ai fenomeni pop contemporanei.

Tristemente Marsiglia

di Valerio Evangelisti

Un omaggio alla grande tradizione del noir francese anni Sessanta-Settanta, con le sue propaggini nella fine dei Cinquanta e negli inizi degli Ottanta. Così si presenta questo A volto coperto, al di là degli insistiti riferimenti al film di Jean-Luc Godard Fino all’ultimo respiro (che peraltro è molto più di un noir). L’intento rievocativo, oltre che alla storia, è legato alle immagini: umbratili, tratteggiate e frastagliate, mai troppo definite. Si immagina un lavoro certosino, compiuto dal disegnatore, per coniugare la nitidezza di una storia in corso alla dimensione del ricordo, riguardante l’ambiente. Una differenza, tra il «cinema nero» americano e quello francese, era vistosa. I molti thriller realizzati negli Stati Uniti, per quanto mettessero in scena periferie, slums e ambienti industriali (Fronte del porto, Nel fango della periferia, Giungla d’asfalto ecc.), rendevano il contesto coreografico e a suo modo affascinante. Un’arte di abbellire la bruttezza che si è prolungata fino ad anni recenti (un esempio per tutti: I guerrieri della notte), e ha molto contribuito all’edificazione del mito americano. Il South Bronx, per esempio, pur presentato infinite volte come zona invivibile, è finito per entrare nell’immaginario, come quartieraccio (fino all’attuale trasformazione in area alla moda) in qualche misura attraente – al pari delle zone desolate del Texas, fatte di sabbia e di pochi, rachitici cespugli, che avevano alimentato la leggenda western. Il cinema noir francese era tutto diverso, e molto più chirurgicamente realistico. Film come Le jene del quarto potere, Il commissario Pelissier, La fredda alba del commissario Joss, Ultimo domicilio conosciuto ecc. avevano per teatro squallidi complessi condominiali, scenari di vetro e cemento, strade senza attrattive percorse da utilitarie (la Renault familiare, la Prinz, la Simca). Supermercati, pompe di benzina, banlieues semideserte o superaffollate. Nessun fascino visuale, nessuna doratura della pillola. Al contrario, la rappresentazione sincera, quasi perturbante, di un degrado – ma il peggio sarebbe venuto più tardi – sia ambientale che umano. Se mai c’è stato un cinema veramente «nero», è stato quello. A esso si richiamano i disegni di A volto coperto. La Marsiglia che vi è raffigurata non ha niente di romantico o di attraente. Allo stesso modo, la vicenda dei protagonisti, due anziani rapinatori, sfugge a qualsiasi tipo di epica. È triste, marginale. Non ha altra tinta che la nostalgia. Nessuno, oggi, oserebbe realizzare un film così struggente. Per fortuna esiste il fumetto, capace di sfidare ogni convenzione, ogni patto di complicità col pubblico. E di resuscitare, velate dal ricordo, le autentiche vie periferiche in cui transitavano le Simca e si aggiravano, tra alveari edilizi e albe fredde, Gabin, Belmondo, Lino Ventura e tanti altri indimenticabili protagonisti.