Walmart, la più grande società al mondo, tiene la sua assemblea annuale in 3 giugno. Il suo bilancio, e ancora più il Form 10-K, sono pertanto letture fondamentali per comprendere l’economia mondiale e in particolare le economie emergenti.
Il colosso dell’Arkansas continua a realizzare il grosso delle proprie attività negli Stati Uniti – 309 miliardi di dollari su un totale di 419. Le cose però non vanno granché bene. Sul mercato americano nel primo trimestre dell’anno le vendite nei supermercati aperti da almeno un anno sono diminuite per l’ottavo trimestre consecutivo. I prezzi della benzina aumentano e i consumatori americani preferiscono gli esercizi commerciali più vicini, piuttosto che andare in macchina nei supermercati di Walmart.
La storia è diversa nei BRIC, dove il numero di supermercati è quadruplicato dal 2005, da meno di 200 (4,2% del totale mondiale) a più di 800 attualmente (9,7%). Ma i BRIC sono diversi tra loro e Walmart lo ha presto appreso. Iniziamo dai due in cui è malapena presente.
In India le catene straniere non possono operare, se non come soci di minoranza in joint venture che possono vendere soltanto all’ingrosso. Non a caso la grande distribuzione organizzata vale meno del 5% del mercato, rispetto a circa 1/3 in Brasile e più dell’80% negli Stati Uniti. Dopo due anni di preparazione, il primo Bharti Walmart è stato aperto nel 2009, seguito da altri 4 nel 2011 – e altri 10/12 sono previsti nei prossimi 12 mesi. In più sta apparentemente negoziando con un secondo gruppo indiano, Future, che già opera un insieme di attività commerciali (supermercati ma anche shopping malls e negozi d’abbigliamento) per aprire altri punti vendita. Ma un sacco rimane da fare, in particolare per mettere in piedi la logistica, assicurare la catena del freddo e migliorare la qualità dei fornitori locali.
La relazione di bilancio glissa sulla Russia, dove Walmart, invece di crescere organicamente, era pronto ad acquisire una delle catene locali, Kopeika. Vistasela soffiare sotto il naso da X5 Retail Group, Walmart ha gettato la spugna a fine 2010 ed ha chiuso il proprio ufficio a Mosca. In buon compagnia, dato che anche Carrefour si ritirò nel 2009 mentre IKEA aspetta da anni l’autorizzazione per aprire due esercizi a Samara e Ufa, anche se altri, come Metro e Auchan, sembrano avere maggior successo nel navigare i mari perigliosi della burocrazia russa.
In realtà le cose non vanno tanto bene neppure in Cina, dove Walmart ha continuato a perdere per oltre 12 anni prima di riuscire finalmente a realizzare dei profitti nel 2008. Certo il fatturato cresce a tassi a due cifre, ma le vendite sono state nel 2010 di 7,5 miliardi di dollari, un modesto 1,8% del totale mondiale. Soprattutto, il mercato cresce ancora più rapidamente e la quota di Walmart rimane modesta, una novità per la società americana che è abituata ad essere il leader, non certo l’inseguitore.
A rendere le cose più complicate, Walmart sta perdendo alcuni dei suoi principali manager, per esempio due vice-presidenti qualche giorno fa. In più, come osservano i lettori dell’Economist in reazione ad un recente articolo, non è raro assistere a campagne nella stampa cinese che accusano Walmart e altri supermercati di fare profitti eccessivi, mentre le autorità tendono a favorire le catene locali nell’assegnare i permessi per costruire nuovi supermercati.
Per fortuna il Brasile riesce a far tornare il sorriso ai manager di Walmart. Dopo 15 anni di presenza e due acquisizioni (Bompreço nel Nordest e Sonae nel Sud), è la terza catena più grande, dopo Pão de Açucar (controllato pareticamente dai francesi di Casino e dalla famiglia Diniz) e Carrefour. Nel 2011 Walmart Brasil ha intenzione d’investire quasi 600 milioni di euro per inaugurare 80 nuovi supermercati, che dovrebbero creare 7 mila nuovi posti di lavoro, oltre a 20 mila indiretti.
Oltre che vendere, in Asia Walmart compra anche un sacco di prodotti. In Cina c’è un Global Procurement Office da febbraio 2002, mentre Bangalore coordina tutti gli acquisti nel sub-continente indiano e sorveglia il rispetto di standard etici nelle fabbriche di sub-fornitori in Sri Lanka.
Una società così grande può influenzare il contesto in cui opera anche in altre forme. Per esempio mentre in Cina Walmart porta il proprio contributo alla costruzione di una “società armoniosa” (lo slogan dei dirigenti di Pechino), in Brasile mette in risalto il proprio lavoro con le banche alimentari che distribuiscono “agli affamati” cibo commestibile che non soddisfa però “i severi standard di vendita”. Un altro aspetto affascinante è come Walmart, e ovviamente altre grandi multinazionali, creino un modello internazionale di dirigenza e pertanto di élite globale. Ed Chan è originario di Taiwan e dirigeva le operazioni cinesi della catena Dairy Farm, dopo aver lavorato per McKinsey a San Francisco e Hong Kong e per Bertelsmann in Asia. Raj Jain in compenso prima di dirigere Walmart in India lavorava proprio in Cina, sia per Walmart International sia per Whirlpool. Infine Marcos Samaha ha fatto tutta la sua carriera in Walmart, soprattutto in Brasile, ma anche in America Centrale. Tutti e tre hanno credentials accademiche scintillanti – rispettivamente la Sloan School of Management di Mit, la Kellogg School of Business di Northwestern e Insead.
Insomma, la strada dei Bric non è lastricata d’oro neppure per Walmart, che pure è una società tanto importante e potente da essere presa di solito di mira dai critici della globalizzazione come troppo potente. I concorrenti locali sono spesso più veloci e flessibili. I mercati tendono a diventare più concentrati, anche se rimangono più polverizzati che in Occidente – per esempio in Brasile i 50 maggiori gruppi rappresentano appena il 64% delle vendite totali, mentre in Europa la quota dei cinque principali tocca facilmente il 70/80%. Il commercio elettronico avanza – in Cina oltretutto Walmart ha appena comprato una partecipazione in 360Buy, la principale catena online per l’elettronica. Tutti sviluppi che le imprese italiane devono tenere sott’occhio se vogliono appoggiarsi su Walmart per vendere nei BRIC.