Dietro la vittoria del “Sì” non ci sono solo motivi (sacrosanti) di ecologia e di salvaguardia del bene pubblico. Parte della vittoria potrebbe essere dovuta allo spirito conservatore e vetero-provinciale italiano, che in questi mesi sta compiendo un’interessante transumanza dal centro-destra al centro-sinistra. È stato un bene che abbia vinto il “Sì”, ma ha vinto, in parte, per motivi sbagliati.
Partiamo dal nucleare. Le ragioni dello stop non riguardano solo il timore del rischio di incidenti o le incertezze per la gestione delle scorie. C’è anche un moto di protesta contro un modello energetico accentrato, interpretato variamente come “tentativo di speculazione”, “approccio capitalista contrario alla produzione diffusa delle rinnovabili”, “furto del territorio da parte di élite industriali”.
Per l’acqua, le considerazioni sono simili. Anche qui, è stato fermato un “tentativo di speculazione sul bene pubblico” da parte dei soliti capitalisti. L’attore Moni Ovadia a Milano è saltato sul palco a celebrare la vittoria, auspicando che adesso possano essere statalizzate tanti altri settori strategici, sottraendoli alle mani degli affaristi.
Ai fatti, il centro sinistra schierato a favore del voto nel referendum, e a favore del sì, ha dimostrato la sua volontà di mantenere lo status quo, attirando il favore popolare. Era un compito demandato un tempo a realtà politiche come la lega, in altri settori. I candidati del Carroccio in visita ai mercati del Nord Est garantivano la salvaguardia dei piccoli esercizi, contro l’aggressività delle grandi catene commerciali – già presenti ampiamente in tutto il mondo industrializzato. La lega, per esempio, non ha mai proposto progetti per l’ampliamento delle dimensioni medie delle imprese – fenomeno caratteristico di sistemi economici che passano a una fase più matura del proprio sviluppo.
Gli italiani, in particolare per l’acqua, si sono trovati di fronte a una scelta. Da una parte c’era il modello statale esistente, che impedisce l’arricchimento dei gruppi industriali, e distribuisce equamente la mancanza di investimenti per le infrastrutture. Dall’altra c’era un modello “di mercato”, nel quale operatori privati avrebbero gestito un bene necessario come l’acqua, realizzando un profitto. Al mercato si è preferito lo stato.
Simili scelte non sono “colpa” dei cittadini. Le esperienze italiane di privatizzazione degli anni Novanta sono state, per larga misura, deleterie. L’emersione di nuovi, ricchissimi personaggi, sulla falsariga degli oligarchi russi, ha fatto inorridire gli italiani. Si è rotto il rapporto con lo Stato: si è persa la fiducia nel fatto che il paese sia in grado di creare e imporre strutture funzionanti di vigilanza sul mercato libero. Dispiace doverlo constatare, ma il referendum non è stato un’espressione di “modernità italiana”: non per il risultato, ma per il modo in cui vi si è giunti. Stiamo festeggiando per un risultato che, in fin dei conti, impone di “non cambiare”.
La base dei votanti di questo referendum ha due anime. Da una parte c’è il genuino “lasciamo tutto così com’è, anzi, torniamo alla statalizzazione”, ben incarnata da Ovadia. Un’altra, minoritaria, propone di “cambiare, ma in altro modo”. Speriamo che a prevalere sia la seconda.
Alla fine, con acqua ed elettricità bisognerà pur fare i conti. Sull’acqua si è detto della necessità di reperire soldi per i finanziamenti. Sul nucleare, purtroppo, la tanto auspicata sostituibilità con le rinnovabili non è ancora realizzabile, e non lo sarà ancora per decenni. Alla fine per sostituire l’atomo servirà più gas – e non dica che nel settore degli idrocarburi non esistano monopoli o forti posizioni private.
Del resto, anche la destra nella sua politica di piccola preservazione dell’esistente, soprattutto in economia, ha incontrato forti limiti. Dopo dieci anni di sviluppo superiore solo a quello di Haiti o dello Zimbabwe, è parso chiaro che il modello era sbagliato, e adesso il centrodestra ne paga le conseguenze.
Se l’opposizione si proporrà adesso solo come forza del “bloccare per non cambiare”, anziché del “bloccare per cambiare in altro modo”, il nostro paese rimarrà ancora per anni intrappolato in una concezione arcaica dello Stato, dello sviluppo economico e della società. Le proposte che arriveranno dopo la vittoria nel referendum decideranno il futuro italiano: se il centrosinistra è pronto per diventare una forza di governo moderna e mitteleuropea, o se gli italiani continueranno a rimanere chiusi in loro stessi, in un piccolo mondo che non esiste più.
*Docente di economia e politica presso l’Università di Potsdam e Senior Fellow di bigs-potsdam.org