Tremonti, è ora di tagliare gli sprechi, ma davvero

Tremonti, è ora di tagliare gli sprechi, ma davvero

Il fisco verrà riformato, secondo gli annunci di Giulio Tremonti che hanno alimentato il dibattito della scorsa settimana. Ma restano ancora dubbi. «Per il momento gli annunci di Tremonti restano solo annunci», spiega a Linkiesta Tommaso Di Tanno, uno dei massimi tributaristi del Paese, docente all’Università di Siena. Anche se, ammette, «alcuni di questi sono carichi di significato». Il professore si intrattiene a spiegare come funziona, o dovrebbe funzionare, la riforma prevista da Tremonti.

«Prima di tutto, occorre puntualizzare che sarà una riforma di carattere redistributivo, e non riduttivo», spiega. In sostanza, non saranno abbassate le tasse, ma saranno ridistribuite. «Il punto è capire come, e in quale direzione», aggiunge. «Si vuole favorire la produzione? Allora si cerca di ridurre, ad esempio, le imposte sul reddito d’impresa». Però, l’operazione «va a gravare su altri ambiti. In questo caso, si va a ritoccare le aliquote dell’Iva».

È una questione delicata. «Tremonti è molto bravo con gli slogan: “dalle persone alle cose” è uno di questi, ma bisogna capire cosa vuol dire. In questo caso si parla dell’Iva, che è applicata su generi diversi, e con aliquote diverse». Scegliere di toccare l’aliquota al 4%, che si applica su beni di prima necessità, come è il cibo, «sarebbe una scelta iniqua e inopportuna». Allo stesso modo, sarebbe rischioso toccare l’aliquota del 10%, che riguarda il settore del turismo e della ristorazione. «Lo si vede bene: un aumento dell’1% di una aliquota del 4%, significa un aumento del 25%», spiega. «Invece, un aumento dell’1% su un’aliquota del 20%, implica un aumento del 5%». Di meno.

Sarebbe allora questione di opportunità politica, secondo Di Tanno, toccare solo l’aliquota più alta, cosiddetta ordinaria, e aumentarla dell’1%, portandola al 21%. «Altrimenti, i titolari di bassi redditi subirebbero un aumento, per i beni di prima necessità, del 25%, che è troppo». Così però, verrebbero a mancare i soldi. «Meglio escogitare altre soluzioni». E quali? «Andare a cercarli sui patrimoni sarebbe un’idea». Una scelta impopolare. «Certo, e per questo non ne parla nessuno. Eppure tasse sui patrimoni esistono in tutti i paesi cosiddetti occidentali. A New York, per esempio, c’è una tassa sugli immobili del 4%». Sarebbe una misura che «andrebbe a colpire i patrimoni immobiliari, ma non solo: anche mobiliari. Quadri, gioielli. Titoli». I beni rifugio «che appartengono a quel 10% di italiani che detengono il 47% della ricchezza nazionale, per i quali le tasse sono ordinarie, e si possono permettere un’imposta straordinaria».

Lo slogan tremontiano, dalle persone alle cose, allora «può andar bene, non sono del tutto in disaccordo: ci sono cose e cose. Meglio andare sui patrimoni che colpire i beni di prima necessità. Una tassa patrimoniale dello 0,5% sui patrimoni che superano il milione e mezzo di euro, o i due. Annua. Questo sarebbe un modo».

Per ridurre le spese, «le tax expenditure» sono un tema complesso. «Non sono solo agevolazioni fiscali», modi per ridurre le tasse. «Sono, in gergo tecnico, modi di abbattimento dell’imponibile ordinario», che può anche avere «funzioni di giustizia sociale». Cioè, nelle 476 detrazioni rilevate dalla commissione, si trovano anche detrazioni per chi ha figli a carico, o anziani, o mogli. In questo caso, «è un modo per riequilibrare il carico fiscale. Chi ha figli ha più spese, rispetto a chi non ne ha. E poi contribuisce al futuro della comunità». Insomma, non si possono tagliare tutti, e non si può pensare di ridurli in modo indiscriminato. Anche qui, «occorre stare attenti alle questioni sociali».

La ricetta di Di Tanno è semplice: «farei anche imposte ecologiche». Imprese e condomini devono avere l’obiettivo di ridurre l’inquinamento. Se non lo fanno, «si applica un’imposta progressiva, sempre più alta di anno in anno». E poi? «Sarebbe opportuno unificare la tassazione sulle rendite finanziare, ma non solo. Tremonti lo promette da anni, ma non l’ha mai fatto. Nel 2003 c’era la legge delega, ma non l’hanno mai attuata». Un’operazione che però darebbe, secondo le stime del professore, «solo due o tre miliardi di gettito».  

Da qualche parte, allora, si dovrà pur tagliare. «I tagli, sono necessari. Ma non devono essere lineari. No». E come? «Voce per voce, capitolo per capitolo tagliare gli sprechi». Anche perché non tutti i ministeri hanno le stesse spese, e alcuni i soldi li spendono bene, «e ne risulterebbero danneggiati». Un’operazione che richiede tempo, impegno e un «lavoro certosino». Monitorare la spesa «andrebbe fatto sempre. Ma soprattutto in tempo di crisi».

Nella sostanza, secondo Di Tanno, la riforma è credibile, anche se c’è bisogno di tempo. «Secondo alcuni calcoli, non comincerà prima di maggio o giugno 2012». Ma non sembra una risposta mediatica alle ultime batoste elettorali? «Può essere. Ma non la rende meno credibile. Gli schiaffi presi possono averli sollecitati. Se così fosse, andrebbe ascritto al governo il merito di saper recepire le proteste, e dare risposte». Speriamo adeguate.

(testo raccolto da Dario Ronzoni)
 

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