“La follia, mio signore, come il sole se ne va passeggiando per il mondo, e non c’è luogo dove non risplenda”. Shakespeare
L’economia mondiale è appesa al filo della follia. La crisi finanziaria altro non è che la palla di neve che fa crollare la valanga sulle casette degli stati nazionali raccolti giù nel fondo della valle. Anche gli Usa, che pur la valle dominano, sono sottoposti a inaudite tensioni interne sul debito pubblico. Devastante per chiunque ragioni con la sua testa è lo spettacolo delle proposte messe in atto o preannunciate per far fronte a quella che è una ristrutturazione profondissima del capitalismo mondiale fondata sul predominio finanziario ad altissimo rischio.
Dinanzi a questa ristrutturazione, migliaia di economisti lautamente pagati, rinserrati in istituzioni internazionali, non sanno far altro che compilare ricette che ormai conosciamo e recitiamo a memoria: liberalizzare e privatizzare, soprattutto il mercato del lavoro; ridurre i costi della politica (senti chi parla); tagliare la spesa pubblica; non porre freni di sorta alla trasferibilità dei capitali; non intaccare la struttura incestuosa delle grandi banche mondiali che fanno leva in eccesso con i soldi dei depositanti producendo stragi degli innocenti in continuazione, ma regolamentarle, invece, dall’alto in una nuova riedizione dell’inefficace Gosplan.
Non si sa se siano sciocchi o furbi: tutti questi rimedi non hanno fatto avanzare di un passo la crescita, senza la quale il debito pubblico non si riduce strutturalmente. Quell’interrogativo ci assale ancor più quando udiamo proposte come quelle di vietare in Borsa le vendite allo scoperto, quando tutti sanno che la maggioranza dei contratti immediati di trasferibilità azionaria si compongono in milionesimi di secondo attraverso le cosiddette darks pool, ossia circuiti elettronici non regolamentati che le banche d’affari aggiornano con cura estrema e sopraffina. Questa pletora di “esperti” si divide in due grandi coorti. I fautori del take over della Germania sull’Europa grazie al rialzo dei tassi e alla lucida follia che fa dire che il pericolo non è la deflazione mondiale ma l’inflazione: e sono i corifei della Bce che contribuiscono ad alimentare e non a spegnere le fiamme della crisi. I seguaci della Fed, che hanno un altro disegno: sostenere la crescita gonfiando il debito sino a sfruttare all’inverosimile il vero vantaggio competitivo degli Usa: il loro potere mondiale (per questo i repubblicani sono dei folli con l’invocazione del default pur di liberarsi di Obama); e grazie a questo potere mondiale diffondere la crescita nel mondo grazie all’espansione della liquidità e a una ripresa leggera di ciò che sola ci può salvare: l’inflazione (il targeting of inflation di Bernanke). Le memorie di Greenspan sono esaltanti in questa luce e ci fanno capire come al centro del suo pensiero non vi fosse solo la crescita nord americana, ma la continuità del dominio dell’Occidente. Per questo io sono con lui. Quella continuità deve essere l’obbiettivo di tutti noi. Ma esso si raggiunge soltanto creando le basi per una nuova crescita a livello mondiale e quindi in Italia.
I tassi del commercio mondiale, da questo punto di vista, non sono incoraggianti: lentamente discendono in assoluto e i Bric perdono di spinta propulsiva a questo proposito. La de-tassazione rapida e forte sul lavoro e sul capitale è allora indispensabile contestualmente all’aumento delle tasse sui beni di lusso, anziché sulle persone. Solo così la crescita è possibile ed è possibile lentamente far ruotare il ciclo mondiale verso la manifattura anziché verso la finanza.
Gli investimenti speculativi a breve debbono essere tassati con trasparenza e immediatezza. Sul fronte del debito in senso stretto la riforma del welfare deve fondarsi tanto sull’elevamento dell’età in cui si lascia il lavoro sia per i maschi sia per le femmine a partire dai 65 anni, quanto sul rilancio del mutualismo e del risparmio delle famiglie. Lo stato deve dismettere tutto ciò che non concorre alla tenuta dei suoi minimi doveri sul fronte della sicurezza dei cittadini. E veniamo al nocciolo che divide tutti noi. Per me l’euro va sottoposto a una severa disanima in merito sulla sua sostenibilità, sia verso l’Europa nel suo complesso, sia verso i paesi che sono sempre stai estranei al suo nucleo franco-tedesco: ossia l’Europa del Sud, Italia intera. È un esame di coscienza inevitabile, ora che si apre dinanzi a noi un periodo di crescita lentissima o di decrescita. Una moneta unica senza stato può condurre il malato verso l’agonia e non verso la guarigione.
*Professore Ordinario di Storia economica presso Università degli Studi di Milano