La vicenda libica ha impietosamente portato alla luce alcuni punti critici che già da qualche tempo minacciano la coerenza dottrinale e la solidità politica della Nato, una istituzione sovranazionale che dalla sua nascita nel lontano 1949 è mutata nella sua composizione e nelle sue finalità.
Se prima del crollo del Muro la funzione primaria di questa alleanza tra nazioni occidentali (ovvero quelle al di qua della Cortina di Ferro) era sostanzialmente quella di contrastare le mire espansionistiche sovietiche, oggi la minaccia non è più il Cremlino ma, malauguratamente, una galassia di movimenti, milizie e gruppi terroristici che praticano la cosiddetta “guerra asimmetrica”.
Non esiste più un fronte dove schierare le proprie forze contro un nemico ben identificabile, ma piuttosto tanti focolai di crisi dove la distinzione tra combattente ostile e civile innocente è spesso problematica. Da 12 nazioni fondatrici del Patto Atlantico, siamo passati a 28, delle quali, ironia della sorte, una cospicua parte è rappresentata proprio da paesi ex appartenenti al Patto di Varsavia, dunque da ex-nemici.
Siamo dunque di fronte ad una organizzazione ormai quasi elefantiaca, dove le decisioni devono essere prese di comune accordo, col rischio quindi che troppe teste finiscano per non mettersi mai d’accordo nel generare una linea strategica univoca. Per molti versi la Nato sembra aver imboccato la strada, a noi ben nota, intrapresa con esiti disastrosi dalla Unione Europea, dove ogni decisione viene partorita dopo lungo travaglio politico, mille obiezioni, infiniti aggiustamenti e spesso con il rilevante contributo di nazioni minori sia sotto l’aspetto geografico che economico.
Certo la Nato, una organizzazione verticistica modellata su gerarchie e iter decisionali di stampo militare è immune da certi malanni, tuttavia abbiamo di recente notato come al suo interno si siano create alcune frizioni derivate dal protagonismo di alcuni governi a discapito di condotte più moderate suggerite da altri membri del Patto. Stiamo ovviamente parlando della Libia: la voglia di grandeur espressa da Sarkozy, ben supportata da una sempre bellicosa Gran Bretagna, ha spiazzato i più, Usa inclusi, forzando il resto della Nato a lasciarsi trascinare verso un conflitto i cui contorni erano piuttosto poco chiari e il cui esito rimane, a distanza di mesi, ancor più oscuro.
Tutto ciò sarebbe accettabile e coerente se a conti fatti questa nuova coalizione di nazioni Nato più altri volonterosi, fosse stata in grado di portare a termine la missione in tempi ragionevoli e in un modo possibilmente indolore per la popolazione civile. Invece, con un contributo militare quasi simbolico degli Usa, «la più potente alleanza nella storia del mondo, impegnata contro un regime male armato, è rimasta senza munizioni dopo 11 settimane», come ha sprezzantemente sottolineato il Segretario alla Difesa americano Robert Gates.
La conclusione è amara ma inequivocabile: la Nato senza gli Usa non esiste. Certamente non esiste come alleanza militare. Oggi gli Usa affrontano la metà della spesa militare mondiale, e da più parti all’interno del Congresso e addirittura in maniera bi-partisan, politici, analisti e opinione pubblica, si stanno chiedendo se in tempo di crisi non sia arrivato il momento di mollare gli alleati europei al proprio destino, sottraendo loro l’ombrello militare che li ha protetti per 62 anni.
La domanda del giorno a Washington è se la Nato sia davvero utile agli interessi americani, o se, prima o poi, la Casa Bianca non dovrà individuare nuovi e più determinati alleati militari tra le potenze emergenti: Cina e India, per esempio. Questa ipotesi non deve sorprendere: in Europa, dove tra l’altro la popolazione sta decrescendo, tutti i budget per la difesa sono stati ridotti, anche in maniera drastica, mentre le potenze che avanzano stanno investendo molto in difesa.
Ragionevolmente il mondo futuro potrebbe avere un nuovo guardiano e garante militare: la Cia, intesa come potentissima alleanza tra Cina, India e America. Senza fare fantapolitica la conclusione è che la Nato potrebbe aver concluso il suo ciclo vitale, iniziato per contrastare l’orso sovietico e esaurito al sorgere di minacce diverse e più articolate. Secondo Gates «l’alleanza è di fronte ad un futuro grigio, se non cupo», consapevole che l’opinione pubblica americana è stanca di supplire alle carenze europee, proprio mentre è l’Asia che merita per Washington maggiore attenzione. Oggi infatti solo 5 dei 28 alleati atlantici eccede, per la difesa, la spesa minima concordata del 2% del Pil: Usa, Francia, Gran Bretagna, Grecia e Albania. E la situazione non appare destinata a cambiare.
Occorre riconoscere che il collante della Nato è stata la comune minaccia, ma una volta che detta minaccia si è estinta, quelle stesse nazioni restano con ben poco in comune. In un certo senso è quasi straordinario che il Patto abbia retto ancora per tanti anni dopo il crollo del Muro, ma si è trattato di una sopravvivenza artificiosa, garantita dai soldi e dalle risorse americane, fattori sui quali oggi non si può più fare conto. Sostanzialmente allo stato attuale per gli Europei non esiste più una ragione per cui si debba essere armati fino ai denti, non dobbiamo fronteggiare una seria minaccia militare. Questo può non piacere agli Americani, ma è una realtà della quale occorre realisticamente prendere atto anche a costo di minare una alleanza che già da molto mostra la corda e per la quale in verità non sono state trovate altre convincenti giustificazioni. Prima tra tutte quella di essere “braccio armato” dei “buoni”, ovvero dell’Onu. Dunque una forza di proiezione globale in grado di intervenire ovunque su mandato del Consiglio di Sicurezza.
Questa versione della Nato non pare aver funzionato al meglio: 28 membri sono difficili da convincere e coordinare e le campagne in Iraq, Afghanistan e ora in Libia stanno a dimostrare le difficoltà e le disparità nell’organizzare campagne Nato su larga scala. Tecnicamente l’Iraq fu una campagna Onu, ma sul campo si sono ritrovate le nazioni Nato e tutte si sono ritirate con ben poco entusiasmo per future operazioni di nation building. L’Afghanistan ogni giorno mostra come l’intervento militare Nato sia costoso, difficile e forse anche inutile. Se questa è oggi la maggior ragione per l’esistenza della Nato. È comprensibile che i suoi sostenitori siano sempre meno.
*professore di studi strategici presso università di Trieste, direttore scientifico Iiss-istituto italiano di studi strategici