La patrimoniale? Sì, ma con una nuova classe dirigente

La patrimoniale? Sì, ma con una nuova classe dirigente

Tra i giornalisti e alcuni soci de Linkiesta questa mattina si è aperto un dibattito di cui ci sembra giusto dare conto ai nostri lettori perché continui. A stimolarlo – in giornate fragili sui mercati europei come nel Palazzo politico italiano – è stato l’intervento di Pietro Modiano, anche lui nostro socio, pubblicato oggi a pagina 52 del Corriere della Sera e intitolato «Imposta patrimoniale per chi ha di più». Un intervento – siamo sinceri – che avremmo voluto pubblicare noi per primi: perché stimola un dibattito culturale, prima ancora che politico-economico, fondamentale per il futuro del paese e quindi per le nostre generazioni di trenta-quarantenni. Per noi e per i nostri figli.

Modiano parte da una constatazione condivisa: la lunga emergenza da cui non riemergiamo mai. «L’emergenza è finanziaria, politica e civile: colpisce tutti. La responsabilità – scrive – è quella di chi ha di più, magari perché ha saputo cogliere (come è capitato anche a me nella mia vita bancaria) le opportunità degli anni buoni. Esercitarla significa essere disponibili ad assumere su di sé una quota di quella riduzione del debito pubblico che è la precondizione della crescita futura».

Modiano chiama le cose col loro nome, e questa è una patrimoniale «Ma di un’imposta patrimoniale solidale e intelligente: non vendicativa, ma accettata, addirittura promossa, da chi è destinato ad accollarsela con il senso di responsabilità di una classe dirigente, e la cui durezza sia compensata dall’efficacia e dall’equità. Che abbia un po’ il significato dell’abolizione della scala mobile del ‘92, ma su una fetta di popolazione diversa. Una cosa del genere non è facile ma forse è possibile. Vediamo due conti, a titolo di esempio. Tassare i patrimoni del 20% più ricco, escludendo l’80%, significa riferirsi ad una base imponibile, se si escludono le case, di 2200 miliardi circa (ipotizzando che a questi livelli ricchezza netta e lorda coincidano). Il 10%, esclusi i titoli di Stato, è circa 200 miliardi di minor debito, che in rapporto al Pil tornerebbe vicino al 100%. Non male. Il sacrificio imposto alla parte degli italiani che sta meglio servirebbe a raggiungere un obiettivo che, con finanziarie durissime e senza crescita, richiederebbe ben oltre un decennio».

La patrimoniale è stata lungamente argomento di propaganda infamante, in questi decenni: quale politico la “imbraccerebbe oggi”? È indispensabile renderla fruibile e politicamente non suicida, sennò non si farà mai. Per esempio pensando «ad un correttivo interessante, a vantaggio di quelli che hanno costruito il proprio patrimonio senza evadere il fisco. Basterebbe compensare – per qualche anno e parzialmente – con una detrazione fiscale di qualche punto le “vittime” della patrimoniale che hanno dichiarato e dichiareranno il proprio reddito. In questo modo, la tassa colpirebbe tutta la parte più benestante del Paese, ma al suo interno colpirebbe soprattutto (dipenderà dalla detrazioni) quella che non ha pagato le tasse. Il gioco sarebbe comunque vantaggioso per i conti pubblici: il numero degli italiani che ha dichiarato più di 200 mila euro di reddito annuale (8 volte il reddito medio) non arriva scandalosamente allo 0.2 per cento mentre chi ha una ricchezza superiore di 8 volte alla media è – si può stimare – oltre il 20% circa del totale»

Quando si parla di patrimoniale, una delle accuse “classiche” è quella di penalizzare fortemente l’economia e i consumi. Modiano incorpora una replica: «La macroeconomia soffrirebbe poco (i consumi del 20% più ricco del Paese non sarebbero sostanzialmente incisi), l’80% degli italiani assisterebbe compiaciuto all’evento, e godrebbe come tutti della riduzione degli interessi sul debito pubblico corrispondente alla riduzione dello stesso – circa 8 miliardi l’anno, permanenti – e della recuperata fiducia del mercato finanziario. Questo reagirebbe con favore a un’Italia per una volta esemplare, che riducesse di un colpo il suo debito mostrando il volto di un ceto benestante pensoso degli interessi collettivi, responsabile, e tassato. Varrebbe almeno un punto di riduzione di spread che corrisponde a regime ad altri 20 miliardi. Sono quasi 30 miliardi l’anno di vantaggio, da usare per la crescita e l`occupazione. Senza parlare del beneficio per le imprese e le banche che stanno attingendo a così caro prezzo al mercato internazionale del credito».

«Forse – conclude Modiano –  è un’idea su cui vale la pena ragionare, senza preconcetti, a partire da coloro i quali a questo sacrificio dovrebbero sottoporsi (compreso ovviamene chi scrive). Che, ade rendovi, o addirittura facendosene promotori – è una specie di appello alla buona volontà – avrebbero l`occasione di dare una mano concreta al Paese, allargando i gradi di libertà della sua politica economica con più spazio alla crescita, ma contribuendo anche a ridurne i sensi di ingiustizia, a rendere accettabili sacrifici che comunque dovremo continuare a fare, e a dare per una volta il senso di vivere in un luogo in cui lavorare, pagare le tasse e votare vale la pena».

Come avete potuto leggere – o rileggere – è un intervento ricco di spunti, traccia vie tecniche che appaiono percorribili e indica una strada e una visione che sembrano condivisibili. Tra noi il dibattito ha toccato alcuni punti, che ci piace condividire coi lettori. «Tra pagare 200.000 euro di tasse ed avere la situazione che c’è, e pagarne 300.000 per sistemare le cose non dubito per un secondo su cosa sia meglio. E credo anche che la stessa preferenza dovrebbero avere tutti quelli che hanno un po’ di soldi via» ha scritto il primo socio cui abbiamo inoltrato l’intervento di Modiano. «Bisogna far capire alla borghesia “medio-alta” (spessissimo per soldi non certo per cultura) che questa volta non sono possibili manovre da free rider perché conviene a tutti – o la va o la spacca tutti insieme. Da ultimo è sottinteso che una patrimoniale come quella proposta possa essere portata avanti, come diceva Einaudi, solo da una nuova classe dirigente».

Il punto di una nuova classe dirigente, di un nuovo “patto” sottoscritto da soggetti nuovi, è tornato più volte nella nostra discussione. È questione di fiducia nelle competenze, nella moralità, nella visione e nella prospettiva di chi dovrebbe realizzare una scelta comunque impopolare. «Nessuno oggi è più disposto a fare sacrifici in cambio di un futuro migliore» rispondevano altri tra noi. «Anche perché la politica non dà nessuna garanzia di spendere al meglio i nostri soldi ..anzi!». Già, la fiducia in una classe politica responsabile è effettivamente il prerequisito per tutto: e per una scelta del genere in particolare.

«Per rendere pienamente accettabile una manovra come quella proposta – osserva un operatore della finanza e socio de Linkiesta – forse lo Stato dovrebbe accompagnarla con un nuovo patto sociale che preveda attraverso tagli e riorganizzazione dei processi una completa riqualificazione della spesa». Pensiamo «alle Province – ma dov’era il PD ????-, alle tre polizie, alle autostrade che costano quattro volte più che in Francia». E ancora, elencando problemi strutturali: «alla giustizia civile con tempi ed esiti impossibili, l’incertezza normativa e regolamentare continua, la proliferazione di enti autorizzativi irresponsabili, la proliferazione di Università e cattedre, la proliiferazione di ruoli improduttivi e ben remunerati in enti pubblici e municipalizzate e i mille altri esempi di spreco di denaro)».

Del resto, le origini del nostro debito, quello che la proposta di Modiano vuole abbattere per dare un orizzonte al futuro «vanno cercate nell’evasione fiscale e nella qualità della spesa entrambe originate da una classe dirigente sui cui meccanismi di selezione si potrebbe discutere a lungo. La proposta di Pietro passa attraverso la rifondazione di una classe dirigente diffusa e consapevole del proprio ruolo e della propria missione, in grado di mettere in secondo piano i propri egoismi e il proprio cinismo per il bene del Paese. È una proposta da “momenti fatali” come quelli che purtroppo ci stiamo accingendo ad affrontare. Forse è meglio cominciare a ragionare da subito su come realizzarla».

Precondizione per capire “come”, secondo noi, è sapere “con chi”. Serve una classe dirigente politica credibile, libera, coraggiosa e capace di pensare non solo a quanti voti prenderà domani, ma soprattutto a che Italia lascerà dopodomani. Serve anche, naturalmente, una classe di imprenditori, manager, dirigenti, banchieri che accettino un patto civico come quello proposto da Modiano. Gli uni e gli altri, esistono? Dove sono? Noi, su Linkiesta, li cercheremo ed anzi da oggi iniziamo un dibattito serio e aperto su questo grande tema, ideale e concreto insieme.