Calciatori di tutto il mondo uniti in difesa dei diritti d’immagine

Calciatori di tutto il mondo uniti in difesa dei diritti d’immagine

Calciatori di tutto il mondo unitevi. Nel nome dello sciopero per cercare, in tempi di crisi mondiale, di strappare qualche soldo in più. Ha cominciato l’Nba alla ricerca della firma del contratto collettivo. Solo che lì sono stati i padroni a far la voce grossa. Non si gioca, lockout, serrata. E guai a quell’allenatore o dirigente che in questo periodo sia sorpreso a parlare con un cestista. C’è anche il licenziamento.

Poi l’Italia. Ma da noi il messaggio è diverso. L’associazione che fu di Campana, e oggi è di Damiano Tommasi, i soldi non li vuole (anche se bolle in pentola la querelle su chi dovrà farsi carico del contributo di solidarietà imposto dal governo) ma chiede, tra le altre cose, di evitare di mettere i calciatori fuori rosa e permettere loro di allenarsi con la prima squadra.

In Spagna, invece, i soldi li vogliono eccome. La situazione delle società, a parte le solite note, è da crack. Il Maiorca è stato il primo a pagare per il “Fair Play” di Platini. La scorsa stagione è stato escluso dall’Europa League per debiti. Al suo posto il Villarreal. E siccome i giocatori non vogliono perdere nulla, almeno i top, capiscono che se le società non pagano abbastanza lo possono fare gli sponsor e i diritti d’immagine (quelli che Aurelio De Laurentiis, presidente del Napoli, non vuol cedere in Italia) diventano oggetto di battaglia. Le società li vogliono tutti per loro, i giocatori non sono disposti a cederli. Nuova fonte di reddito da sfruttare. Risultato: due giornate di sciopero per ora confermate, la Liga riparte alla terza.

Un momento di un Clásico, la sfida tra Real Madrid e Barça
Marek Hamsik del Napoli
Il Centro Studi Diritto Sport di Milano del professor Lucio Colantuoni, docente del corso “Diritto Sportivo e Contratti Sportivi” presso l’Università degli Studi di Milano, Facoltà di Giurisprudenza, e dell’avvocato Cristiano Novazio, entrambi autori del Blog “Sport e legge” sul sito www.gazzetta.it , studia da anni queste dinamiche. La convinzione per i due studiosi è che i campioni, ogi denominati top player, detteranno sempre legge e che difficilmente una delle due parti la spunterà in maniera totale sui diritti d’immagine, sostanziale nuova forma di introito.

Allora, come finira? È possibile “spogliare” dei diritti d’immagine i giocatori, come la Lega vuole fare in Spagna. Servirebbe a calmierare gli ingaggi dei top regolamentandoli?
Anche se idealmente potrebbe avere senso l’intenzione della Liga di voler acquisire i diritti di immagine dei calciatori in sede contrattuale (vedi il caso del Napoli), appare difficile imporre tale linea, a livello politico, in sede di contratto collettivo. Più percorribile la strada della contrattazione individuale. Non credo che una scelta del genere possa calmierare gli ingaggi dei top player. Gli adeguamenti contrattuali richiesti a fronte di tale rinuncia sono spesso lauti, perché tendono a remunerare ex ante la cessione dei diritti di immagine. E più i calciatori sono importanti più i riconoscimenti economici saranno maggiori.

Ma ha senso per una squadra detenere i diritti d’immagine di tutti i suoi giocatori, oppure è meglio, come accade nei top club europei, trattenere una percentuale degli introiti?
Per una squadra è molto importante poter contare su una fonte di introito quale quella derivante dallo sfruttamento dei diritti di immagine dei propri atleti. Le società calcistiche si sono rese conto che la popolarità di un calciatore, spesso, era proprio favorita e quindi “creata” dalla società sportiva per cui il calciatore lavorava. Perciò il Real Madrid nel 2000  pretese il 50% dei diritti d’immagine su Luis Figo e David Beckam. Tali diritti devo però essere adeguatamente sfruttati dai club per generare nuove fonti di reddito. Questo potrà avvenire solo se i club riusciranno ad adottare opportune politiche commerciali potenziando per esempio il settore del merchandising che in Italia costituisce ancora un’esigua voce nel bilancio delle società.

Ci vorrebbero i contratti naked, come in Formula 1.
Con questi contratti i calciatori, al momento della conclusione del rapporto di lavoro con il club, sono obbligati a cedere a quest’ultimo, dietro corrispettivo, l’uso della propria immagine, “spogliandosene” appunto. I naked contracts non sono una novità nel mondo del calcio europeo. I diritti di immagini sono da tempo diventati elemento determinante nelle negoziazioni relative ai contrati di lavoro sportivo. La difficoltà principale è data dal fatto che tali diritti non sono sempre agevolmente quantificabili.

Insomma, il calcio va verso la Formula1 dove lo spazio personale dei piloti è ridottissimo o addirittura nullo? Oppure questa svolta non sarà possibile?
Appare improbabile che il calcio possa dirigersi verso un annullamento dei diritti individuali di immagine dei calciatori. Nella Formula 1 la prassi dei contratti naked è più gestibile perché le scuderie hanno pochi piloti e forse e più giustificata, nel senso che in quel contesto vi è una immedesimazione pressoché totale tra pilota e casa automobilistica. Nel calcio, i singoli calciatori svolgono la loro attività agonistica anche quando partecipano ai campionati con le rispettive nazionali. 

In Spagna scioperano per i diritti d’immagine. Aurelio De Laurentiis è stato il primo presidente italiano che ha posto il tema, avocando a sé i diritti dei suoi calciatori. Come lo si deve considerare, un innovatore? Oppure è una battaglia contro i mulini a vento di un sistema che resta chiuso in se stesso?
De Laurentiis può sicuramente considerarsi un innovatore che applica nello sport la politica cinematografica, in cui gli attori appunto cedono al produttore le proprie prestazioni e il risultato della loro opera recitativa in modo che il produttore possa usare le loro immagini per il film. Tale politica, criticabile sotto alcuni aspetti (libertà contrattuale) e forse non attuabile in tutti i club (i top players difficilmente accetterebbero tali accordi), ha il merito di tentare di valorizzare e incentivare le fonti di reddito alternative come il licensing, il merchandising, le sponsorizzazioni e ed altre attività commerciali. Tale linea corrisponde a quella tracciata dall’Uefa con le norme in materia di Fair play finanziario, secondo cui le società dovrebbero autofinanziarsi incentivando appunto le fonti di reddito alternative. 

Altra richiesta dei club spagnoli  è quella di sospendere il contratto dei giocatori nei periodi in cui questi sono impegnati con le nazionali. Tempo fa Cragnotti citò addirittura la Figc per un infortunio a Nesta essendo la Lazio società per azioni. Cosa pensa a riguardo?
Recentemente proprio il Napoli di De Laurentiis ha diffidato la federazione uruguaiana dall’utilizzare Cavani in un partita della Coppa America. Il referto medico era stato inviato al Napoli che lo aveva fatto esaminare da un esperto il quale aveva ritenuto necessari dieci giorni di riposo. La partita doveva giocarsi l’ottavo giorno dopo l’infortunio. È un’antica polemica quella dei rapporti tra club e nazionali, e in via di principio è comprensibile la volontà dei club di voler regolamentare al meglio tali relazioni. Non credo percorribile la strada della sospensione dei contratti. Penso che tutt’al più si possano attuare forme di collaborazione tra federazioni e club sull’utilizzo dei giocatori. Alcune modalità di collaborazione potrebbero essere istituzionalizzate. In ogni caso esistono già alcune forme assicurative garantite dalla federazione per gli infortuni occorsi durante le partite della nazionale; tale sistema potrebbe essere perfezionato e soprattutto adottato a livello centralizzato in Fifa che in proposito non impone alcun obbligo assicurativo.

I contratti dei giocatori attuali sono in linea con la crisi che il mondo intero sta attraversando?
Il mondo dello sport, pur coinvolto dalla crisi, continua a livello internazionale a costituire un fenomeno in evoluzione, anche sotto il profilo commerciale. In ogni caso, le normative europee Uefa sul Fair play finanziario potranno costituire una solida base per evitare squilibri finanziari. Con il nuovo regolamento sulle licenze Uefa per club e sul fair play finanziario, dal 1° luglio 2011 le operazioni finanziarie messe in atto dai club saranno tutte rigorosamente monitorate ai fini del rilascio delle Licenze Uefa. A partire dai bilanci in chiusura il 30 giugno 2012 entrerà in azione il Panel di controllo finanziario (CFC Panel). Nell’arco del triennio 2011-2014 sarà permesso un rosso di bilancio non superiore a 45 milioni di euro. In caso di sforamento, scatteranno le sanzioni decise dal CFC Panel. In rapporto alla sua entità potranno arrivare fino all’esclusione dalle Coppe europee. Nel successivo triennio 2014-2017 lo sforamento consentito sarà ulteriormente abbassato e dovrà essere contenuto entro il limite massimo di 30 milioni di euro. I bilanci della stagione 2017-2018, quando il ffp andrà a regime, dovranno essere chiusi in parità. Sarà comunque tollerata una perdita fisiologica di bilancio, intorno ai 5 milioni di euro, per i club che immetteranno risorse in progetti legati alle infrastrutture del vivaio come pure alla costruzione e/o ristrutturazione degli stadi.

Il calcio italiano si potrebbe rilanciare con un minor numero di squadre. Quali problemaitche comporterebbe?
La ridefinizione dei campionati nell’ottica di ridurre il numero di squadre è un argomento particolarmente sentito, specialmente nella Lega Pro, che è ufficialmente un campionato professionistico (con tutto ciò che ne consegue in termini di costi per i club) che tuttavia non è in grado di ottenere significativi benefici economici in termini di commercializzazione dei diritti e pertanto non riesce ad essere competitivo. Da tempo Abete propone studi sulla fattibilità di una riforma dei campionati, ponendo come obiettivo finale una serie B a 20 squadre e una Lega Pro di 60 club di in tre gironi da venti.

Lei ha esperienza di diversi sport. La crisi come ha colpito le varie discipline sportive?
Parlando di altri sport, si possono rilevare analoghe problematiche. Si pensi al basket nazionale che per la stagione entrante perderà gli introiti di Sky, ma anche a quello Nba che pur avendo un giro d’affari stellare si trova alle prese con lo sciopero dei giocatori per problematiche legate al salary cap. In altri casi – il rubgy – occorre fare una distinzione tra campionati nazionali, gestiti in modo dilettantistico (tale infatti è il rugby) e competizioni internazionali che stanno vivendo un’importante evoluzione, come ad esempio la coppa del mondo di rugby che costituisce una degli eventi più seguiti a livello internazionale, con conseguenti benefici in termini di ritorni economici. 

Kobe Bryant, il numero 24 dei Los Angeles Lakers

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