Sono tempi di misure di contenimento della spesa o per meglio dire, tagli. All’Italia li chiede l’Europa, Merkel e Sarkozy in testa. Molto si è scritto di un governo commissariato di fatto dalla Bce. Sul Corriere della Sera di oggi si ricorda uno studio di Alberto Alesina di Harvard, Dorian Carloni di Berkley e Giampaolo Lecce della New York University.
Siamo andati a vederlo questo studio. Dietro al titolo del paper «The electoral consequences of large fiscal adjustments», c’è un risultato importante e, in qualche modo, inaspettato. Sono solo i governi «forti e che godono di consenso», si legge, che possono adottare aggiustamenti fiscali e quindi non perdono le elezioni “malgrado” abbiano ridotto il deficit. La conclusione dello studio, è «che molti governi possono ridurre il deficit in maniera decisa evitando sconfitte elettorali».
Gli autori della ricerca parlano di «aggiustamenti fiscali», ma in realtà intendono ampie riduzioni del deficit di budget. Scrivono che «è opinione comune che questo sia il bacio della morte per i governi che li implementano». La realtà però è molto meno univoca e, dati alla mano, sono proprio i governi «dalla manica larga dal punto di vista fiscale» a perdere più facilmente le elezioni.
Il focus è quindi la forza (o meno) dei governi. Un governo stabile può permettersi di adottare misure dure, che invece non sono alla portata di un esecutivo instabile e troppo eterogeneo dal punto di vista degli interessi rappresentati. Tutto questo a patto che si parli di tagli di spesa e non di aumenti della pressione fiscale. Nelle varie sezioni si va dai dati alle evidenze qualitative degli aggiustamenti fiscali nei paesi Ocse degli ultimi 30 anni per poi chiudere con la correlazione fra politiche di contenimento della spesa e risultati elettorali e la possibile evidenza che siano i governi forti a poter tagliare e a trarne beneficio. Ecco qui sotto il testo integrale che si può sfogliare in modalità slideshow.