È ora che la Turchia in Siria faccia sul serio

È ora che la Turchia in Siria faccia sul serio

ISTANBUL – Per il premier turco Recep Tayyip Erdogan è giunto il momento di tentare di andare all’incasso, prima che la situazione interna siriana determini anche il fallimento della sua politica estera e, in più, una bella batosta economica.

Sono passate circa due settimane dalla missione del Ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu a Damasco. Il capo della diplomazia turca, in sintesi, aveva riferito a Bashar al-Assad che la pazienza, ad Ankara, era agli sgoccioli. Il premier Recep Tayyip Erdogan dal canto suo, dopo la missione, aveva dichiarato alla stampa di aspettarsi, entro 10-15 giorni la cessazione delle violenze contro la popolazione e le prime riforme. Ankara aveva anche voluto sottolineare che si era trattato di un’iniziativa spontanea: non erano andati a veicolare nessun messaggio da parte di Washington.

La Turchia appare, ancora una volta, bramosa di fare da sola, per poter finalmente accreditarsi come Paese di riferimento nel mondo arabo. Proprio adesso che l’Egitto è preso da altri problemi ed è sorto un nuovo conflitto fra Israele e Hamas, in cui Ankara è pronta a prendere la parti della seconda.

Erdogan non ha molto tempo e nemmeno molta scelta. Dopo mesi di soluzione interlocutoria e di mediazione nei confronti di Damasco, deve mostrare di essere veramente in grado di operare pressioni significative sul governo di Assad. Se lo fa, potrebbe accrescere il suo raggio di influenza in buona parte del mondo arabo, come mostra di voler fare ormai da un paio di anni, salvo poi doversela vedere con altri Stati della regione.

Se non lo fa, e se continua a prendere tempo, allora rischia di trovarsi in un angolo e, in questa crisi siriana, la Turchia potrebbe diventare il Paese che ha manifestato più indecisione, e anche quello che ha pagato il prezzo più alto. I rapporti con la Siria sono ormai compromessi. E questa era l’ultima cosa che Ankara avrebbe voluto, visto che il Paese rappresenta il campione dell’ormai celebre politica “neo-ottomana” del buon vicinato. Proprio con Damasco, nel 2010, sono stati aboliti i visti di ingresso. Una mossa diplomatica, cui ha fatto seguito una fioritura delle relazioni anche economica. L’interscambio commerciale, arrivato al +162%, a 1,5 miliardi di dollari e oltre un milione di turisti, con un incremento del 170%.

Numeri che oggi appaiono un miraggio. Ai turisti che l’anno scorso pernottavano negli alberghi più costosi sul Bosforo si sono sostituiti le migliaia di profughi che hanno cercato la salvezza in Turchia durante i raid di Assad. In alcune zone vicino alla frontiera, dove era attivo un turismo legato a scambi locali fra i due Paesi, le perdite sono al 90%. Il quotidiano Haberturk ha scritto che alcune aziende turche sono state costrette a bloccare investimenti pari a un valore di 200 milioni di dollari.

C’è poi la questione del prestigio internazionale, che la Turchia fatica molto a conquistare. Troppe esitazioni potrebbero creare l’immagine di una Turchia molto esuberante ma, alla fine, incapace di pesare davvero.  

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