La guerra coi militari la vince Erdogan

La guerra coi militari la vince Erdogan

ISTANBUL – Verrebbe da dire: tutto è bene quel che finisce bene. Il Supremo consiglio militare turco si è concluso e la frattura, temuta da molti, alla fine non c’è stata. A una settimana dalle dimissioni in massa dello Stato maggiore, in aperta polemica con il governo islamico-moderato guidato da Recep Tayyip Erdogan, il nuovo Capo dell’esercito, Necdet Ozel è riuscito a trovare un compromesso su ogni cosa.

Il premier Erdogan aumenta la sua influenza nelle decisioni riguardanti le Forze Armate, questo è vero. Ma secondo molti analisti, più che di un incremento si tratta di un riequilibrio di poteri, dopo che, per decenni, tutte le decisioni erano state prese univocamente dai militari.

Alle forze di terra e marittime sono andati nomi graditi all’esercito. Il governo ha scelto la gendarmeria e le forze aeree. Compromesso anche sul nodo dei 14 militari, accusati di tentato colpo di Stato e ora in attesa di giudizio, che il governo avrebbe voluto mandare in pensione e che erano in odore di promozione. La questione è stata posticipata di 12 mesi, nella speranza che, nel frattempo, la magistratura chiarisca la loro posizione. Con un moto che ha sorpreso molti, Erdogan ha anche acconsentito ad assegnare l’Accademia militare al generale a quattro stelle Aslan Guner, noto per le sue posizioni antigovernative e che alla vigilia dello Yas tutti davano verso la via della pensione.

Il Supremo Consiglio Militare quindi si chiude in attivo per il primo ministro e anche la maggior parte dei quotidiani di opposizione sottolinea come l’intesa con l’esercito sia stata ampia e condivisa, seppure frutto di ore di trattative.

In questa Turchia dove la sfera politica diventa sempre più attiva e decisionista non si può fare a meno di riscontrare che il partito di governo stia allargando la sua sfera di influenza in ogni campo.

Le nomine delle authority vengono decise in accordo con il governo, che viene poi chiamato in causa quando ci sono dei problemi. In maggio, ad esempio, alla vigilia delle elezioni, l’esecutivo è stato coinvolto nella polemica riguardante una nuova normativa su Internet, approvata dalla Btk, una specie di Authority per le comunicazioni, che da molti quotidiani è stata giudicata una forte limitazione alla libertà di navigazione in rete. Il ministro per la Telecomunicazioni ha cercato di mediare, per il momento si sa che il termine di entrata in vigore è stato spostato dal 22 agosto al 22 novembre e che i filtri tra cui scegliere prima di navigare saranno solo due anziché quattro, come annunciato in precedenza.

Le recente riforma costituzionale, approvata a larga maggioranza dal popolo turco con il referendum dello scorso 12 settembre, permetterà alla politica anche di avere più voce in capitolo nella scelta dei giudici, soprattutto in istituzioni chiave come la Corte Costituzionale e l’equivalente del Consiglio Superiore della Magistratura. Nella sostanza ne aumenta i membri e ne crea parte per nomina parlamentare.

Le nomine del Consiglio che gestisce la televisione di Stato sono decise a tavolino da maggioranza e opposizione, dove però al momento l’Akp, il Partito islamico-moderato per la Giustizia e lo Sviluppo, che guida il Paese da quasi 10 anni, ha una posizione di netto dominio.

I giornali invece sono divisi: c’è chi appoggia l’operato del governo e chi è scettico. Possiamo comunque citare due testate, Zaman e Sabah, schierate dalla parte del premier. Taraf, invece, ha una linea editoriale antimilitare, mentre Hurriyet, Milliyet e Radikal sono di opposizione e Cumhuriyet è un quotidiano vicino al Chp, Partito repubblicano del Popolo, principale voce dell’opposizione.

Sulla carta si tratta di una situazione simile a quella di altri Paesi europei. In alcuni casi, somiglia molto alla stessa Italia. La Turchia si starebbe uniformando agli standard di altre democrazie, un processo auspicato dalla maggioranza della popolazione. Rimane a molti il dubbio sulla situazione corrente, dove il primo ministro ha un raggio di influenza sempre più esteso, e a volte risulta labile il confine che corre fra un maggiore peso derivato dalla democratizzazione del Paese e l’accentramento incondizionato. Dove, infine, si sente sempre di più la mancanza di un’opposizione in parlamento, che sia politica ed efficace.

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