BRUXELLES – Per l’Italia l’approvazione in via definitiva della direttiva sull’eurovignetta è una chiara sconfitta. Ancora una volta il “sistema paese” (concetto piuttosto esotico dalle nostre parti) non ha funzionato, eppure in gioco erano sostanziali interessi economici dell’Italia. La generale disattenzione per l’Europa dei nostri governi e la scarsa credibilità tra i partner ha impedito di trovare sufficienti alleati per una battaglia che, per una volta, era stata condotta con impegno. Per non parlare della miope politichetta nostrana che ha spinto l’opposizione a votare a favore di una direttiva che rischia di essere molto dannosa per il paese, pur di colpire il governo.
Ma procediamo per ordine. Di per sé, il principio dell’eurovignetta sarebbe sacrosanto, chi inquina di più paga di più, per cui i camion inquinanti pagano una tariffa a chilometro: 3 ovvero 4 centesimi al chilometro per gli euro IV a seconda che si tratti di strade interurbane o suburbane, cifra che sale rispettivamente a 6 o 7 centesimi per gli Euro III fino a un massimo di 12 e 16 centesimi per gli Euro 0 (gli Euro V saranno esentati fino al 31 dicembre 2013 e gli Euro VI fino al 31 dicembre 2017). Il problema però, è che la direttiva penalizza pesantemente l’Italia, dove il trasporto su gomma è ancora pari al 90% – a differenza di altri, come la Spagna, che hanno diversificato molto di più su rotaia e nave. Soprattutto colpisce chi deve attraversare – com’è il caso di tutti i nostri autotrasportatori diretti fuori dai nostri confini – valichi di montagna. In un primo tempo si era parlato di «moltiplicatore cinque», per cui i paesi in cui si trovano le montagne in questione, ad esempio l’Austria, potevano moltiplicare per cinque le tariffe, adesso siamo scesi al «moltiplicatore due» della tariffa aggiuntiva.
La direttiva, tuttavia, consente ulteriori maggiorazioni per le aree montane, senza quantificarle precisamente, nel caso «l’inquinamento atmosferico e sonoro produca maggior danno in quelle aree». L’Austria è già intenzionata a far pagare cifre molto elevate ai nostri autostrasportatori. «Grazie Italia – commenta sarcastico un lobbyista austriaco – in questo modo ci potremo fare un’altra finanziaria a spese vostre». «La direttiva – si legge nella dichiarazione di voto dell’Italia – non tiene conto delle specificità di alcuni paesi dell’Unione europea, come l’Italia, per quanto riguarda la loro natura montuosa, il numero di passaggi di montagna e l’alto livello di uso del suolo (antropizzazione) e questo influenzerà notevolmente la competitività dei processi produttivi». Tanto più che l’Italia non è riuscita neppure a far passare il principio che i soldi frutto delle maggiorazioni di montagna siano vincolati allo sviluppo delle grandi infrastrutture europee. Gli stati come l’Austria, insomma, potranno far cassa per investire questi soldi come vogliono.
L’Italia si è spesa molto contro questa direttiva, riferiscono quanti l’hanno seguita, ma non è riuscita a trovare abbastanza alleati. Solo la Spagna ha votato contro, in più si conta l’astensione di Olanda, Portogallo e Irlanda. Tutti gli altri hanno votato compatti a favore, la partita non aveva chance. Come mai quando Francia e Germania hanno a cuore un progetto o al contrario vogliono bloccarlo, riescono nella stragrande maggioranza dei casi a trovare gli alleati che vogliono? Anni di assenze pesanti a Bruxelles, dove i nostri ministri si vedono sempre di meno sostituiti da sottosegretari o, in qualche caso, direttamente dal nostro rappresentante permanente – per non parlare delle ‘gag’ europee del nostro Presidente del Consiglio – si fanno sentire.
L’opposizione non ha lesinato in critiche.
«Anche su Eurovignette III – hanno tuonato in un comunicato il capodelegazione Pd al Parlamento Europeo David Sassoli e l’europarlamentare dello stesso partito Debora Serracchiani – il governo italiano ha dimostrato tutta la sua debolezza in Europa». Vero, ma non va a merito dell’opposizione il fatto che, pur sapendo il danno per l’economia italiana, non abbia esitato – pur di rifilare una sberla al governo – di votare a favore della direttiva in quanto, dicono Serracchiani e Sassoli, «contiene misure importanti, anche se non quella per la quale noi ci eravamo battuti». E pazienza se il nostro export si trova di fronte a un nuovo ostacolo. Sistema paese? Che cos’è?