L’Europa cerca di ritrovare la bussola. E lo fa ripartendo dai principi del Consiglio europeo del 21 luglio scorso. L’Ecofin di oggi doveva dare una risposta ai mercati finanziari, innervositi dalle voci di un imminente collasso dell’eurozona. Così non è stato. Prima si era comunicato che il fondo salva-Stati European financial stability facility (Efsf) sarebbe stato ampliato e potenziato, ma dopo poche ore è arrivata la smentita. «Tutto è ancora in discussione», ha commentato il commissario Ue agli Affari economici e monetari Olli Rehn. Non è un caso che il responso dei mercati sia stato quasi neutro.
La volontà di proporre una maggiore integrazione fiscale nell’eurozona è evidente. Lo ha rimarcato anche il presidente dell’Eurogruppo Jean-Claude Juncker. Di concerto con il segretario del Tesoro americano, Timothy Geithner, Juncker ha spiegato che deve esserci uno «sforzo concentrato in grado di fissare un quadro di misure per il consolidamento fiscale e per crescita e occupazione». Nessuno, quindi, è esentato dagli sforzi nel contenimento dei conti pubblici, esplosi negli ultimi anni a causa anche della crisi subprime.
Nell’Ecofin di Wroclaw la vera novità è che non ci sono novità. Il massimo che il numero dell’Eurogruppo è riuscito a proporre è stata «la completa adozione dei progetti messi nero su bianco nel Consiglio Ue del 21 luglio». In quella direzione va la scelta di Belgio, Francia e Italia di ratificare, di fronte all’Ecofin, l’aumento dei poteri del fondo salva-Stati Efsf, da ultimare entro la metà di ottobre. Su questo punto, tuttavia, rimane contraria la Germania, che non vuole che l’Efsf possa entrare sul mercato secondario per acquistare titoli di Stato. La leadership di Berlino è però apparsa un po’ più appannata, dopo le dimissioni del capo economista della Bce Jürgen Stark. Per questo motivo è impossibile da definire la road map dell’Efsf che, fino a oggi, doveva entrare in azione con il nuovo quadro normativo potenziato il prossimo due ottobre. «Non vedo la possibilità che questo accada prima della metà di ottobre», ha detto Juncker.
Il nuovo assetto del maxi fondo Efsf dovrà avere l’obiettivo di stabilizzare l’eurozona. E per farlo dovrà essere necessariamente aumentato di dotazione. L’attuale grandezza dell’Efsf, 440 miliardi di euro, non è infatti abbastanza elevata nel caso d’intervento a sostegno di nazioni come Italia o Spagna. Anche per questa ragione, nella scorsa serata, era circolata voce di un ingresso nel fondo da parte degli Stati Uniti. «Noi non discutiamo dell’aumento della capacità dell’Efsf con un non-membro dell’eurozona», ha commentato lapidario Juncker citando espressamente queste indiscrezioni. Quello che è certo è che ci sarà più collaborazione fra le prime cinque banche centrali mondiali (Bce, Bank of England, Federal Reserve, Bank of Japan e Swiss National Bank) dopo l’annuncio del massiccio intervento per aumentare la liquidità in dollari.
A preoccupare l’Eurogruppo è il carattere sistemico di questa crisi debitoria. «La velocità con cui si sta espandendo non è normale», ha commentato a margine dell’Ecofin il ministro delle Finanze olandese Jan Kees de Jager. Parole riprese anche dal cancelliere dello Scacchiere inglese George Osborne, che ha sottolineato come «serva una risposta decisa nei confronti della situazione greca». Ma Atene è solo la punta di un iceberg ben più profondo. A Wroclaw si è discusso soprattutto della manovra correttiva italiana. Juncker ha spiegato che Roma ha «fatto il possibile e ha approvato misure di cui siamo soddisfatti». Il timore che aleggia è che il piano di austerity non sia sufficiente per raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013, viste le stime sulla congiuntura economica internazionale. Il Tesoro ha però smentito ogni dubbio e in una nota ha spiegato che «tenendo conto della prossima revisione delle stime macroeconomiche, (la dimensione della manovra) è coerente con l’obiettivo del pareggio di bilancio nel 2013».
Nel frattempo, una nuova ombra si proietta sulla Grecia. Il quotidiano ellenico Eleftherotypia, intervistando uno dei membri del consiglio direttivo dell’Istituto statistico greco, Zoe Georganta, ha reso noto che Atene avrebbe mistificato nuovamente i suoi conti pubblici. In particolare, il focus è sul deficit di bilancio nel 2009. Secondo le rivelazione della Georganta «abbiamo volutamente comunicato un dato innalzato rispetto alla realtà, per evitare che l’accordo con il Fondo monetario internazionale e l’Ue fosse troppo oneroso per noi». Nella sostanza, invece che un rapporto deficit/Pil del 15,4%, la Georganta ha reso noto che sarebbe stato del 13,9 per cento. La notizia conferma la necessità di una governance europea comune sulla gestione della finanza pubblica e sulla revisione dei bilanci statali. Infatti, l’Eurostat è stata «tenuta all’oscuro di qualsiasi nostra mistificazione e non abbiamo mai avuto problemi nel farlo», ha sottolineato la Georganta. Sarà ora compito proprio dell’organo statistico europeo controllare la veridicità delle rivelazioni emerse oggi. E ripensando ai precedenti episodi è difficile stare sereni.