Ormai è solo questione di tempo. Oggi la Grecia affronterà per l’ennesima volta gli ispettori della troika composta da Ue, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale. Sul piatto ci sono quindici punti di riforme e tagli, ma il Tesoro ellenico ha già spiegato che non c’è spazio di manovra per ulteriore austerity. A rischio c’è quindi la sesta tranche di aiuti, pari a 8 miliardi di euro, necessaria per la sopravvivenza di Atene in questa settimana. A peggiorare la situazione c’è un altro aspetto. Domani andranno a scadenza tutti i Credit default swap (Cds) con scadenza a settembre 2011. Dato che è impossibile che vengano rinnovati ai prezzi correnti, insostenibili per qualsiasi banca o investitore istituzionale, lo scenario potrebbe essere quello peggiore. Del resto, l’accelerazione che sta subendo la crisi ellenica non lascia presagire nulla di positivo.
La situazione è peggiorata lo scorso sabato. Il premier George Papandreou, che aveva in programma due incontri a Washington, è tornato precipitosamente ad Atene per incontrarsi con il ministro delle Finanze Evangelos Venizelos. Sul piatto c’erano le raccomandazioni, quindici in tutto, della troika. Il rappresentante del Fmi, Bob Traa, è stato categorico. «Sono necessarie nuove misure per ridurre il deficit a livelli sostenibili, la Grecia ha avuto tempo e supporto per portare avanti un programma capace di consolidare i conti pubblici, ma non lo ha fatto», ha sottolineato Traa. Gli ha risposto Venizelos, che ha rimarcato come, sebbene «non ci sia spazio per aumentare le tasse», è nell’intenzione del Governo di fare «tutto quello che è necessario per adempiere alle richieste della troika e ricevere la sesta tranche di aiuti». A questo punto Traa non ha potuto far altro che sbottare e manifestare tutta la sua insoddisfazione: «Forse non è ben chiaro al Governo greco che parliamo di riforme che non si fanno in un giorno. È chiaro che a questo punto siamo fortemente preoccupati per l’assenza di un ampio consenso politico al piano Ue/Fmi per la Grecia».
Quest’ultimo è proprio il punto su cui si stanno disgregando le speranze di una ripresa di Atene. Il deficit pubblico dall’inizio dell’anno a oggi è stato rivisto al rialzo nelle ultime due settimane, passando da 15,67 miliardi di euro a 18,6 miliardi. Ed era stato proprio un alto funzionario del Fmi a spiegare che non sarebbe stata rilasciata la sesta parte di aiuti se non fossero stati raggiunti «gli obiettivi previsti nel programma di consolidamento fiscale». Il ministro Venizelos ha oggi reso noto che prevede una contrazione economica greca del 5,5% per l’anno in corso, elemento che «rende più complicato la piena soddisfazione del piano concordato con la troika». La recessione è stata confermata anche da Traa, che ha inoltre ricordato come pure il prossimo anno l’economia ellenica si contrarrà, nella misura del 2,5 per cento.
Ora a tremare sono le banche europee, ancora molto esposte alla Grecia. Secondo gli ultimi dati della Banca dei regolamenti internazionali (Bri), diramati stanotte, Atene sugli istituti di credito Ue pesa per circa 152,810 miliardi di dollari. Di questi, 65,279 sono sulle spalle della Francia e 28,996 su quelle della Germania. Più contenuta l’esposizione italiana, 6,254 miliari di dollari. Si tratta comunque di dati che dimostrano una riduzione complessiva dell’esposizione, dato che nel giugno scorso la Bri aveva certificato un’ammontare di 162,428 miliardi di dollari sulle banche europee, 64,777 sulla Francia, 39,923 sulla Germania e 5,778 miliardi sull’Italia. Se da un lato Berlino ha già adottato una politica previsionale di contenimento dell’esposizione, Roma e Parigi non lo hanno fatto.
A preoccupare di più gli operatori è però la scadenza, prevista per domani, di 580 contratti Cds. Secondo i dati della Depository trust & clearing corporation (Dtcc), una delle maggiori clearing house mondiali, il 20 settembre vanno a maturazione quasi 600 contratti di protezione dal default ellenico, sottoscritti negli anni passati, per un valore di netto di circa 2 miliardi di dollari. E dati i costi dei Cds, è difficile che vengano rinnovati. Infatti, per assicurarsi contro l’insolvenza di un titolo di Stato ellenico quinquennale del valore di 10 milioni di dollari, occorre sborsare circa 6 milioni di dollari ogni anno. Se a questo aggiungiamo che l’incertezza regna sovrana nell’eurozona, è improbabile che gli istituti di credito rinnovino quei contratti, lasciando andare il Paese nel baratro della ristrutturazione del debito.
In realtà, l’intervento del settore privato nell’ambito del secondo bailout deciso il 21 luglio scorso dal Consiglio europeo non è altro che questo. La ristrutturazione del debito ellenico, tramite un rollover di una parte dello stock esistente, è stata finora gestita in modo tutto sommato ordinato, secondo i dettami dell’Institute of international finance (Iif), la lobby bancaria internazionale. Tuttavia, il mancato rinnovo dei Cds potrebbe aprire le porte al default. A sottolinearlo è Peter Tchir, fondadore del fondo hedge TF Market Advisors: «C’è ancora spazio per una nuova iniziativa o un piano concreto, ma più passano i giorni, più si avvicina un fallimento che sembra inevitabile. Ormai è solo questione di tempo». Difficile dargli torto.